Finalmente una notizia splendida! Non ci sono dubbi, l'assegnazione dei Giochi Olimpici invernali del 2026 a Milano e Cortina è una boccata di ossigeno, una linea di credito aperta sulla fiducia, sul futuro, sulla capacità del nostro Paese di saper fare bene una cosa.
La cosa che saremo chiamati a far bene è, peraltro, uno dei veicoli più straordinari di immagine e un acceleratore economico dalle enormi potenzialità. Certo è difficile, ci mancherebbe. Lo sanno bene Giovanni Malagò e tutto il suo meraviglioso staff che la prima battaglia, quella dell'assegnazione, l'hanno vinta superando difficoltà enormi, compresi nemici esterni e fuoco amico. D'altronde non è vero che i fuoriclasse si distinguono dagli "atleti" normali proprio perché sono capaci di fare bene una cosa, assumendosene la piena responsabilità e sapendola fare quando è difficile? Queste tre mosse sono quelle che, su una complicatissima scacchiera, hanno fatto Giovanni Malagò, Beppe Sala e Luca Zaia, i tre principali protagonisti di questa storia a lieto fine. Tre persone diverse l'una dall'altra per storia personale, competenze, ruolo politico ma che hanno stretto un patto fondato su una parola: coraggio.
Il coraggio di bruciare le navi, il coraggio di dimostrare di credere alla rivoluzionaria idea che è possibile fare una cosa bene, assumendosene la piena responsabilità e di saperla fare quando è difficile, come fanno i fuoriclasse. Certo, come diceva Don Abbondio: «Il coraggio, uno, se non ce l'ha, mica se lo può dare». No, non può. Così, all'interno di questa splendida notizia per il Paese intero, da torinese, da sportivo, da persona che ha visto con i suoi occhi e respirato con i suoi polmoni la magia dei Giochi Olimpici del 2006 in città, non posso negare l'amarezza dell'assistere allo scempio della più incredibile opportunità che Torino abbia visto passare davanti al proprio naso nell'ultimo secolo.
Quel coraggio non l'hanno avuto la Sindaca di Torino e, soprattutto, la sua compagine seduta in consiglio comunale. Paralizzati fra la paura del mettersi alla prova e l'effetto Dunning-Kruger (quella distorsione di pensiero, inguaribile purtroppo, che determina l'incapacità da parte di chi non è esperto in una materia, di riconoscere la propria incompetenza) l'allegra brigata seduta nelle poltrone della maggioranza in Sala Rossa di una città che olimpica era stata tredici anni fa, si è sottoposta a un'eutanasia politica della quale, inevitabilmente, pagherà le conseguenze, ma soprattutto ha condannato una città intera a un danno di immagine, economico, culturale dalle dimensioni incalcolabili. I Giochi del 2006 avevano meravigliosamente cambiato la città e, soprattutto, cambiato i Torinesi. Chiunque ci abiti (o ci sia passato) sa che esiste una Torino prima e una dopo il 2006.
Superbia? Incompetenza? Paura? Non sta a me giudicare. A me, e a centinaia di migliaia di torinesi, non resta che raccattare i cocci e fare i conti con una schizofrenia, difficile da spiegare, fra la felicità di una notizia meravigliosa e la rabbia di essere condannati a stare alla finestra. Anzi, a stare come come quei bambini discoli a cui la mamma, per punizione, non compra le caramelle e si piazzano con le mani e la faccia appoggiata alla vetrina, a guardare dentro al negozio. Torino, per l'ennesima volta saprà ripartire (a chi ricorda l'arrivo delle finali dell'Atp di tennis assegnate per cinque anni a Torino sa bene che questo evento, certamente importante, avrà un impatto che non è davvero paragonabile a quello dei Giochi Olimpici). Lo farà democraticamente, così come democraticamente, nel 2016, è stata eletta l'attuale Sindaca e la sua giunta. D'altronde le occasioni passano per tutti. Una volta sola, però.
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