Nel Sahel non ci facciamo mancare nulla. Ci siamo dotati, per esempio, della base aerea 201 ad Agadez. Del tutto americana, droni armati compresi e operativi da pochi giorni. Un cantiere durato tre anni e non casualmente ad Agadez, snodo per migranti e mercanzie di ogni tipo. La sua «flessibilità geografica e strategica – secondo le parole del generale Stephen Towsend – si offre come garanzia agli sforzi per la sicurezza nella regione». La pista sarà utilizzata anche da aerei nigerini, forse dai nuovi caccia di fabbricazione russa di cui il Paese si è dotato dopo il vertice di Sotchi con Vladimir Putin. Abbiamo poi militari francesi stazionati nei pressi dell'aeroporto internazionale e militari italiani adibiti alla formazione di specifici ambiti relativi alla sicurezza. Già, nel nostro piccolo non ci facciamo mancare nulla. La sabbia, ad esempio, che sembra crescere col passare degli anni, facilitata dal ritiro degli alberi che vanno in fumo per cuocere le carni o, appena piantati per riforestare, diventano preda degli animali. La sabbia serve a dare lavoro ai pulitori di strade, assume un peso geopolitico sempre più rilevante per i traffici di cocaina, armi, medicinali, sigarette e macchine fuori strada. La sabbia, infine, nasconde ciò che si vorrebbe vedere e mostra ciò che si vorrebbe nascondere e, da questo punto di vista è l'unica a fare una politica seria e rispettabile nel Paese. Domandatelo, per esempio, ai migranti in transito.
Malgrado le derisioni, le misure coercitive, i controlli alle frontiere, le libere detenzioni nei campi a loro destinati per il ritorno, le organizzazioni umanitarie che cercano di convincerli a non partire, i migranti, continuano a passare da un Paese all'altro. Ed è così che noi, qui nel Niger, accogliamo migliaia di sfollati, di profughi e di rifugiati. Questi ultimi ci arrivano di ritorno dalla Libia, attualizzazione in tempo reale dell'inferno dantesco. Qui da noi trovano case e centri e personale specializzato per aiutarli ad attendere una vita altrove. Non ci mancano le Agenzie Onusiane, le organizzazioni internazionali, nazionali e locali, ognuna suddivisa secondo la propria specie, come sull'arca di Noè. Il diluvio, d'altra parte, c'è stato anche quest'anno con le inondazioni che hanno fatto decine di morti e migliaia di senzatetto. Abbiamo le frontiere di ogni tipo, prefabbricate dall'occidente, vendute all'ingrosso, esportate e imprestate dietro compenso con contratti bilaterali rinnovabili a seconda dei regimi al potere. Abbiamo l'uranio, il petrolio, l'oro, il carbone, il gas, i ponti sul fiume Niger con gli ippopotami a spiare gli stranieri e uno zoo che funge anche da museo per i visitatori. Abbiamo una costituzione, un parlamento, partiti politici, un presidente della repubblica che colleziona viaggi all'estero, hotel a 5 stelle e, da non dimenticare, l'attesa classifica dei Paesi a più debole sviluppo umano. Stiamo studiando come conservare l'ultimo posto della graduatoria.
Collezioniamo gruppi di ispirazione terrorista, banditi, ladri di bestiame, gruppi di combattenti per l'autodifesa, mercenari e militari di ogni tipo e stagione. La litania dei morti è senza fine e, settimanalmente, si dichiarano uno o più giorni di lutto nazionale. Abbiamo il coprifuoco in alcune regioni, un tasso considerevole di natalità, donne che guidano con disinvoltura, e col velo come patente di guida, macchine una volta simbolo di virilità. Non ci facciamo mancare nulla. Le persone scomparse sono centinaia e, mentre di molte si sono perse le tracce, di altre si odono promesse di ritorno, riscatto o rivendita ad altri gruppi. Siamo per un certo pluralismo religioso garantito dalla Costituzione e dalla recente legge sull'esercizio del culto che ha già suscitato reazioni anche violente. Abbiamo università statali che funzionano a singhiozzo e i cui anni accademici sono indefiniti. Crescono libere università private che solo una minima parte di studenti può frequentare per ovvie ragioni di classe sociale. La maggioranza dei cittadini sono contadini e allevatori che naturalmente non contano nulla al momento di operare le scelte economiche. Spendiamo tanto per la sicurezza e proprio per aiutarci si moltiplicano armi, istruttori e militari stranieri che dovrebbe garantire una guerra sostenibile e compatibile col Sahel. Qui non ci facciamo mancare davvero nulla, neanche Dio.
Niamey, novembre 2019
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