Nel microcosmo di Guadagnino
martedì 13 ottobre 2020
L'avvicendamento al comando di una base americana in Italia è una rotazione normale. Un po' meno normale è che il nuovo comandante sia una donna e soprattutto che questa donna, colonnello dell'esercito degli Stati Uniti, non si presenti con il marito bensì con la moglie, militare anche lei. Così facendo Luca Guadagnino, creatore e realizzatore della serie tv We are who we are (il venerdì alle 21,15 su Sky Atlantic e disponibile on demand) cerca subito di spiazzare il pubblico, anche se poi la storia che il regista racconta non riguarda tanto la comandante e la moglie quanto il loro figlio adolescente, il quattordicenne Fraser, e una coetanea di colore, Caitlin, anche lei figlia di un militare americano, che abita all'interno della base, un'immaginaria ma realistica «Caserma Maurizio Pialati» a Chioggia, in Veneto. Un microcosmo in cui le vite si intrecciano, mentre ognuno cerca di capire chi sia e cosa faccia. Persone che in questo ambiente chiuso diventano analizzabili come in una sorta di laboratorio. E Guadagnino per questa sua osservazione del comportamento, almeno per i primi due degli otto episodi previsti, sceglie una tecnica particolare: nel primo segue Fraser, mentre nel secondo segue Caitlin facendoci rivedere dalla parte della ragazza quello che prima abbiamo visto dalla parte del ragazzo. Due punti di vista per raccontarci la nascita della loro amicizia, ma anche per delinearne i caratteri: complicato e introverso lui, più disinibita e intraprendente lei. In entrambi, però, si nota qualcosa di controverso. Ad esempio Fraser indossa strani pantaloni leopardati, mentre Caitlin tende a vestirsi come un ragazzo ed è turbata per l'arrivo delle prime mestruazioni. Il tutto fa supporre (e in parte è stato anticipato dagli autori nella presentazione della serie) che uno dei temi, oltre la sessualità nel passaggio tra l'infanzia e l'età adulta, sarà l'identità di genere. E questo, con tutto il rispetto per Guadagnino che approda alla serialità televisiva, ci suona come un campanello d'allarme e non ci fa stare tranquilli. Lo stesso titolo (tradotto Siamo quello che siamo), sia pure riferito all'accettazione di sé e degli altri, ci fa sospettare possibili considerazioni semplicistiche.
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