sabato 8 luglio 2017
Quando, nel 1984, Joaquin Navarro-Valls fu nominato direttore della Sala Stampa della Santa Sede, l'informazione vaticana era ancora in grandissima parte a trazione italiana, per così dire, e il giornalismo viaggiava a una velocità di piccolo cabotaggio, ancora sul filo delle telescriventi. Benché l'elezione del Papa polacco, sei anni prima, e ancor più l'attentato alla sua persona del maggio del 1981, avessero attirato in sala stampa un gran numero di corrispondenti stranieri, era un fatto sporadico se non davvero rarissimo che le informazioni sull'attività della Santa Sede, che andassero oltre la semplice cronaca, superassero la barriera delle Alpi. Non parliamo della barriera degli oceani.
Il grande dibattito sui temi portanti della Chiesa restava un “fatto italiano”, occasionalmente francese e spagnolo: e Giovanni Paolo II, nei primi anni del suo pontificato, se da subito era stato capace di riempire la scena mediatica con la sua sola presenza, difficilmente riusciva a essere raccontato fuori dall'Italia al di là del colore o della sua «incidenza politica», per il suo venire da Oltrecortina. Navarro, che proprio sulla scia di queste curiosità per il nuovo Papa arrivò a Roma alla fine degli anni 70, era lucidamente consapevole di questa situazione e di questo limite. Tanto più evidente e pesante in un mondo in cui il baricentro della cattolicità s'era ormai spostato verso l'America, e proprio quel continente avrebbe avuto bisogno di un'informazione religiosa più puntuale e precisa. Si trattava, insomma, di riempire quella scena già così istintivamente occupata da papa Wojtyla, di contenuti accessibili a un universo mediatico non uso a trattare determinati argomenti. E lui ci riuscì benissimo.
Tutt'altro che inaccessibile, come anche in questi giorni è stato raccontato, Navarro spendeva davvero un sacco di tempo avvicinando ora l'uno ora l'altro dei giornalisti che frequentavano la sala stampa spiegando, approfondendo, semplicemente conversando, e sforzandosi di far cogliere i significati di discorsi e documenti, o anche di semplici battute, per fare in modo che quei messaggi riuscissero a passare anche nei «mercati» più ostici. Il suo capolavoro assoluto fu probabilmente nel '94, quando sull'onda di un'indimenticabile invettiva di papa Wojtyla contro quanto si andava preparando alla conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo – conferenza Onu della quale, in quella primavera, nessuno sapeva praticamente nulla – Navarro riuscì a capovolgere un'informazione ufficiale già bella preconfezionata, contribuendo in maniera decisiva al successo dell'azione diplomatica che, guidata dalla Santa Sede, avrebbe portato al ribaltamento sostanziale di quelle che erano le conclusioni già scritte prima ancora che iniziasse il dibattito nella capitale egiziana.
Un lavoro lungo, difficile, paziente, quello di Navarro. Di certo però incredibilmente efficace, tanto più in quanto svolto a cavallo degli anni in cui la velocità dell'informazione si moltiplica per dieci grazie alle nuove tecnologie, e tutto diventava globale, più difficile da controllare e da gestire. Ma se a metà degli anni 90 papa Wojtyla sarebbe stato riconosciuto come l'uomo in grado di dettare l'agenda internazionale, con tanto di riconoscimento sulla copertina dell'americano “Time”, fu anche grazie a questo lavoro di Navarro. Del quale ancora oggi si vedono i frutti.
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