Dopo 15 anni di attesa, a partire dal 1° gennaio scorso anche gli irlandesi possono togliersi la soddisfazione di leggere i documenti pubblici dell'Unione europea e ascoltare la traduzione in diretta dall'Eurocamera nella loro lingua nazionale: il gaelico (da non confondere con l'omonimo scozzese, anche se ne è parente molto stretto). In teoria, questo diritto era stato ufficialmente proclamato nel 2007, ma per concretizzarlo è stata necessaria una lunga e faticosa ricerca di traduttori madre-lingua (neppure del tutto conclusa, a quanto pare), in grado di lavorare alle dipendenze di Bruxelles.
La ragione è semplice: pur essendo la prima lingua ufficiale del popolo irlandese, proclamata tale dall'articolo 8 della Costituzione di Dublino assieme all'inglese (in seconda posizione), e pur rimanendo obbligatorio come insegnamento nelle scuole, di fatto il gaelico è parlato ordinariamente da non più di 100mila persone, su una popolazione di circa 4 milioni e mezzo che invece usano l'idioma di Shakespeare. Di qui la difficoltà di reperire personale per garantire la parità di trattamento con le altre 23 lingue riconosciute dalla Ue.
Derivata da un antico ceppo celtico, la lingua irlandese originaria sembra sia arrivata sull'isola attorno al terzo secolo avanti Cristo. Ma a parte poche centinaia di iscrizioni su pietra in caratteri primitivi, risalenti al 5-600 dopo Cristo, le testimonianze letterarie non sono mai anteriori al secondo millennio. Il gaelico ha subito poi una drastica decadenza nel corso dell'800, anche per la devastante carestia che fece un milione di morti e la contemporanea e conseguente emigrazione di massa che spopolò il Paese.
Ma come spesso succede nella storia, la riscoperta della lingua madre è una molla culturale decisiva per affermare la propria identità nazionale, che agli abitanti dell'Eire è costata secoli di battaglie, invasioni e umilianti periodi di sottomissione alla vicina Inghilterra. Si comprende così la soddisfazione espressa a inizio anno dal presidente irlandese Michael Higgins, lieto per il riconoscimento della "nostra identità specifica come popolo con una nostra lingua distintiva". Giudizio scontato, quello dell'ottantenne primo cittadino dell'isola, stimato poeta proprio in quel gaelico che coltiva da sempre con passione.
Qualcuno potrà domandarsi che senso ha promuovere una sempre maggiore integrazione fra i 27 Paesi e al tempo stesso garantire una complicata parità di trattamento fra le loro lingue. E invece il multilinguismo costituisce uno dei principi base dell'Unione, che si cerca di perseguire soprattutto nell'ambito del Parlamento di Strasburgo, a tutela della pari dignità di tutti gli europei. Il Trattato sul funzionamento della Ue, per esempio, prevede espressamente che ogni cittadino ha diritto a rivolgersi all'istituzione e ad ottenere risposta nella propria lingua.
Un panorama linguistico così ampio, c'è chi dice "babelico", obbliga tuttavia le istituzioni a un impegno rilevantissimo. Basti pensare che la Direzione competente impiega circa 1140 persone, più di metà delle quali traduttori professionisti, per una spesa di ben oltre un miliardo di euro l'anno. D'altronde le combinazioni delle traduzioni possibili fra le 24 lingue impiegate sono centinaia. D'ora in poi, comunque, i 13 europarlamentari irlandesi potranno esprimersi in gaelico nel grande emiciclo, certi di essere capiti anche a Sofia e a Lisbona. Ma quanti di loro sanno farlo?
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