domenica 4 novembre 2018
«Attenzione. Le immagini che seguono potrebbero urtare la vostra sensibilità»; «Attenzione: questo video non è adatto a un pubblico particolarmente impressionabile». La morte l'ho incontrata spesse volte, lungo il mio cammino di giornalista che ha viaggiato in luoghi non proprio tranquilli nella vita di questa nostra Terra. Non è stato necessario andare neanche troppo lontano per guardare negli occhi della signora in nero. La si trova dietro l'angolo di ogni strada.
Certo, la morte è fedele a noi tutti, ci accompagna la vita; l'imponderabile, l'ineluttabile, la fine del cammino che si concluderà quando sarà quel momento è, ahimè, programmato per tutti noi. E sempre lei ci lascia senza respiro, ci provoca confusione e turbamento, quando ci ferisce, quando ci strappa via una persona cara. La morte l'ho raccontata spesse volte, usando le parole scritte, ridando voce alle sue vittime; facendo rivivere le storie umane incontrate sulle strade di una guerra, di una carestia, di un disastro ambientale, di un virus o una malattia sterminatrici.
Ho ancora chiaro e vivido, con tutti i suoi colori, il ricordo del corpo di una giovane donna bionda e bella che giaceva riverso a terra in un campo degradato alla periferia di una Milano che non era ancora quella da bere e neppure ancora quel grande Swarovski sbrilluccicante di grattacieli. Era molti anni fa. La ragazza era stata uccisa a colpi d'arma da fuoco. Comune malavita. Forse una prostituta. Non si seppe mai bene tutta la sua storia e neppure venne scoperto il suo assassino. Morta di morte violenta, tutto qui. Fu il mio primo caso di cronaca nera. Ma lei è ancora lì, nei miei occhi, con i suoi capelli biondi sporchi di terra.
Forse ho avuto più paura quella volta in Africa, quando mi resi conto che l'uomo non era ancora morto, ma agonizzava. Anche lui gettato per terra, nel fango inzuppato di pioggia tropicale del Congo. Di morti ce ne erano già a decine e decine tutt'attorno a quello scheletro pelle e ossa. Sterminati dal colera. Ma non facevano più effetto, rispetto a lui che esalava il suo ultimo respiro, con gli occhi ribaltati all'indietro. «Attenzione, le immagini che seguono...».
Oggi la morte violenta è diventata spettacolo da guardare in presa diretta. Le concediamo la nostra attenzione aprendole la porta in Rete. Usando un leggero e distratto clic sulla tastiera del computer o del telefonino intelligente. Dopo avere, probabilmente, pure sbuffato per quella ipocrita perdita di tempo stampata in rosso a lettere maiuscole che ci allerta: state entrando in una "stanza" dove assisterete a qualcosa di forte. Quale migliore invito.
Un po' come «lasciate ogni speranza, o voi che entrate». Un po' come dire e non dire, ma intanto inoculare forza alla curiosità umana, cui tutti siamo pronti a cedere: "Noi vi avvisiamo. Ma voi non abbiate paura a fare clic per guardare cosa c'è dentro l'inferno". La morte diventa sempre più spettacolo da spiare, standosene seduti comodamente alla scrivania in ufficio, sulla metropolitana che ci porta a casa, in salotto sgranocchiando pop corn. Come fosse un reality, un film. Una curiosità voyeuristica, per un selfie andato male, per un autobus precipitato in un burrone... Per vedere chi muore di morte violenta.
La morte l'ho incontrata tante volte, troppe. Avessi avuto una porta a proteggermi, non l'avrei mai aperta.
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