Ma chi fa i giornali, li legge? Su "Repubblica" (8/1, p. 36: "Quando la morte diventa utile") Franco Marcoaldi racconta "La morte moderna", «libro provocatorio» dello svedese Wijkmark sull'idea che «nelle società contemporanee, democratiche e di massa», ovviamente progredite e moderne, «tutto» dovrà rispondere a criteri di utilità generale e tutto sarà programmato, anche il morire, perché non avvenga che la sproporzione tra popolazione che produce e popolazione improduttiva, incurabili e in genere anziani, comporti l'«affondamento economico del Paese». Chiaro: con consultazione di esperti " sociologi, filosofi, teologi e psicologi " si organizza «la fase terminale della vita umana» e si decide che tutti dovranno capire che è necessario, quindi giusto, che come tutti si nasce allo stesso modo e alla stessa età, così tutti si deve morire allo stesso modo e alla stessa età limite: prima si può, per disgrazia, dopo non più. Resta solo " ecco gli esperti! " il compito di convincere tutti, ma «ben indirizzati» saranno proprio vecchi, pensionati e malati a capirlo. Nel libro resiste solo uno strano individuo cocciuto, che " testuale " «incarna i valori non negoziabili della vita umana». Dubbio "malpeloso": nel tema c'è o no qualche spunto attuale, e anche per le stesse pagine del giornale? E a proposito di dubbi sul "Messaggero" (8/1, p. 25: "Noi siamo figli delle stelle") interviene l'astronoma Margherita Hack sulle origini dell'universo: tante parole per una serie di fantasie infine confessate forse «non molto convincenti», ma sicuro antidoto scientifico alla visione religiosa. Chi s'accontenta"
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