In apparenza è solo una goccia nel mare magnum della Legge di Bilancio approvata a fine anno dalle Camere, in realtà potrebbe segnare un punto di svolta nella gestione del patrimonio artistico del nostro Paese. È il "contributo di sbarco" che il Comune di Venezia è stato autorizzato ad adottare – in alternativa all'imposta di soggiorno ed estendendone notevolmente il raggio d'azione – per un importo massimo di 10 euro a persona: colpirà i cosiddetti "turisti mordi e fuggi", come ad esempio i passeggeri delle grandi navi da crociera, che visitano la città lagunare senza soggiornarvi. L'ipotesi è che la nuova tassa di sbarco per Venezia funzioni con sostituto d'imposta: a pagare, come sovrapprezzo sui biglietti, dovrebbero essere cioè le compagnie che fanno servizio di trasporto – pullman, aerei, navi da crociera – a fini commerciali in arrivo a Venezia. Non può stupire l'entusiasmo con il quale questa novità è stata accolta dagli albergatori: secondo Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi, «le nostre città sono musei e come accade nei musei, è giusto pagare il biglietto d'ingresso». Il provvedimento infatti mira ad elevare la qualità dei flussi turistici che invadono ogni giorno Venezia, stabilendo una linea di demarcazione tra turisti soggiornanti e nomadi, con l'obiettivo di aumentare gli introiti per le casse cittadine. Ma anche prescindendo dal dato economico, che potrebbe sembrare semplicemente "discriminante" nei confronti del turismo più popolare, la nuova tassa si rivela un tentativo prezioso per combattere il fenomeno dell'intasamento e dell'eccessivo sfruttamento delle nostre città d'arte. Una questione che merita d'essere affrontata e non semplicemente subita – come già avevo segnalato dalle pagine di Avvenire – per tutelare un patrimonio unico al mondo, non riproducibile e oggi fortemente a rischio. Si tratta, a mio avviso, di un provvedimento che andrebbe esteso rapidamente a Roma e a Firenze, i cui centri storici oggi soffrono di una situazione simile a quella veneziana, e gradualmente ad altri centri minori caratterizzati da centri storici piccoli e particolarmente affollati. Sapendo che se l'effetto più immediato potrebbe essere apparentemente negativo, ovvero una diminuzione dei flussi turistici, quelli conseguiti a medio termine sarebbero invece tutti strutturalmente positivi: in primis un notevole miglioramento del decoro dei centri storici più "delicati", che avrebbero servizi pubblici più adeguati (a numeri inferiori di presenze) e sarebbero privati di quella miriade di attività commerciali di scarsissimo livello che oggi ne caratterizza il profilo urbano. E come conseguenza diretta un graduale aumento del numero di giorni medi di permanenza dei turisti (stranieri), che oggi risulta per le città d'arte italiane notevolmente più basso che per Parigi e per Londra, un incremento significativo della ricchezza lasciata dai turisti sul territorio, un sostegno importante per le case comunali (spesso esangui, come nel caso di Roma Capitale). È fondamentale, dunque, che alla prima (coraggiosa) mossa del Governo in questa direzione ne seguano altre. Perché la tutela del nostro patrimonio artistico e culturale, andando oltre stereotipi e falsi miti del passato, è oggi la migliore strategia per costruire un futuro di sviluppo sostenibile per il Belpaese. E per lasciare ai nostri figli qualcosa di meglio di ciò che abbiamo trovato.
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