Per gli economisti di tutto il mondo è stato un segnale di grande rilievo. La recente creazione da parte dell'OCSE del nuovo centro di analisi WISE (Well being, Inlcusion, Sustainability and Equal opportunity), di cui è acting director l'italiana Romina Boarini e che si ispira al lavoro svolto da un altro italiano, l'attuale ministro delle Infrastrutture e delle Mobilità sostenibili, Enrico Giovannini (che fino a dieci anni fa coordinava gli esperti di statistica dello stesso organismo), è un passo in avanti rilevante sulla tortuosa strada che porta "oltre il Pil". Obiettivo del WISE è infatti quello di misurare il benessere collettivo sulla base del principio "measuring what matters": misuriamo ciò che conta davvero.
La ricerca di indicatori statistici affidabili e universali che misurino il benessere di una comunità e del suo territorio è iniziata qualche decennio fa, come dimostra il celebre discorso di Robert Kennedy del 1968 secondo cui «il Pil misura tutto, fuorché quello che rende la vita meritevole di essere vissuta». Ma l'esplosione della pandemia da Covid-19 ha accelerato il processo, mettendo a nudo la mancanza di strumenti di analisi adeguati per affrontare un futuro probabilmente dominato da crisi globali imprevedibili, generate da virus, dal climate change o dallo sfruttamento eccessivo delle risorse del pianeta. Nelle ultime settimane ha segnato un punto in questa direzione, oltre all'OCSE, anche la Commissione statistica delle Nazioni Unite completando il processo di definizione del System of Environmental Economic Accounting, un nuovo standard internazionale capace (in prospettiva) di integrare il "capitale naturale" nella misura del Pil. In particolare, il SEEA contiene indicazioni per rendicontare in modo uniforme sul piano statistico i settori dell'agricoltura, delle foreste e delle riserve ittiche, delle emissioni inquinanti, dell'energia, delle riserve idriche e dei flussi di materiali. Questo nuovo strumento sarà fondamentale nella lunga corsa verso i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite.
Non è il caso di farsi prendere da facili entusiasmi: manca, ancor oggi, un "indicatore unico" universalmente riconosciuto del benessere di una comunità. Una delle ragioni del dominio (finora) incontrastato del Prodotto interno lordo è, infatti, la sua estrema semplicità: pur essendo il risultato dell'interpolazione di migliaia di dati, il Pil è un numero unico che indica con chiarezza il progresso o la recessione di un Paese e che rende pienamente confrontabili le performances di tutti i Paesi del mondo, perché si basa su una metodologia universalmente condivisa.
Ma nell'era della sostenibilità, della coscienza verde diffusa e del nuovo capitalismo fondato sui parametri ESG, non è più accettabile ridurre lo sviluppo di un Paese alla produzione di beni e servizi. Il Pil dovrà essere superato, o almeno integrato. Per misurare ciò che conta davvero.
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