Alzarsi la mattina quando ancora è buio, e uscire per Milano che dorme. Dorme, non tutta: si accendono qui e là le luci alle finestre, nelle case. Alzano la saracinesca i bar con un fragore di ferraglia, e già si affollano al banco i clienti infreddoliti. L'odore acre del primo caffè, le mani veloci del barista che attacca e stacca con un tonfo secco il filtro alla macchina.Da fuori, un fracasso di bidoni: gli ultimi camion della spazzatura ingoiano rifiuti nelle ganasce di metallo spalancate, e si allontanano come fossero comandati a sparire, con la luce del giorno. Giorno che stenta, in questa bruma di gennaio. Qui accanto c'è mercato, e già prima dell'alba i mezzi degli ambulanti si allineano, goffi, pesanti, i diesel accesi. E braccia di stranieri, e casse e casse di verdura, e vecchie merciaie che allineano calze e maglie di lana sui banchi, le dita irrigidite dal freddo. Qualcuno in una pausa si concede una sigaretta fumata avidamente, il mozzicone che rosseggia nel buio della notte che non si vuole alzare. E voci, e grida, e corde, e schiene piegate, sembra un veliero che issa le vele il mercato, nel chiarore incerto del giorno. Attorno, Milano accelera. Dalle autostrade colonne di auto impazienti si spingono nei viali ancora vuoti. A Porta Nuova, nell'ultima retroguardia della notte, pulsano le luci rosse in cima ai grattacieli, scintillano come specchi i trenta piani di cristallo. Una pioggia fredda che sa di neve fa luccicare l'asfalto. È bella, ti stupisci a pensare, la metropoli dell'alba, coi suoi bagliori e il suo fiato di benzina e di metallo.Alla Centrale i primi Frecciarossa sono in partenza, il muso aguzzo dei locomotori pare fremere dalla voglia di correre. E nell'andirivieni della folla riconosci dal passo chi torna a casa e chi, lento, non ha dove andare; e i pendolari veloci, che quasi si tuffano giù per le scale del metrò, come chi sa a memoria la sua strada. E luci, luci ovunque, fibrillanti tabelloni di orari, insegne, taxi, pubblicità. È un palpitare di luci questa città che si sveglia, e ognuna segnala che qui si vive e si lavora. Vista dall'alto, Milano in quest'ora dev'essere un moltiplicarsi di luci; e, in cielo, il lampeggiare di aerei che si avvicinano, e verso il Corvetto scendono lenti sulla città. Sottoterra i treni del metrò sbucano coi fari accesi, improvvisi, dalle gole nere dei tunnel. E c'è in noi una fretta che è quasi ansia dolorosa: ma è fretta buona, di andare, di fare, di lavorare. Così che, pensi, se te ne andassi questa città non bella ti mancherebbe come l'aria; coi suoi clangori all'alba, come il lamento del tram che si allontana, gementi le ruote di acciaio sui cari soliti binari.
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