Alla prova dei fatti – tre vittorie consecutive e una qualità del gioco in visibile crescita – sul conto del Milan è opportuno aggiornarsi. Forse ravvedersi. A partire dal rapporto fra Silvio Berlusconi e Siniša Mihajlovic. Sarà capitato anche a voi – a me sicuramente – di non credere a una facile convivenza fra Padrone e Mister, entrambi dotati di un evidente superego che nei momenti difficili pareva dover creare un dualismo insanabile in una stagione che vede sempre più spesso Berlusconi abbandonare o allontanare (in ogni campo) alleati già sicuri, da lui prescelti, e quindi ritenuto liberissimo di disfarsi di chi, come Siniša, gli è stato portato da Galliani. Non è trascorso molto tempo da quando è improvvisamente tramontato Seedorf, presto accompagnato all'uscita da Pippo Inzaghi. Oggi si deve prendere atto che in questo mondo pieno di contraddizioni e debolezze che riguardano anche molti veri o presunti uomini forti, Berlusconi e Mihajlovic hanno scelto di confrontarsi – non dico sfidarsi – sul fronte dell'intelligenza; imparando a rispettarsi, forse anche a tollerarsi, nonostante le incursioni provocatorie del primo e gli errori evidenti del secondo. Se Berlusconi interviene nelle faccende tecniche del Milan, suggerendo la giusta (secondo lui) tattica, non è come De Laurentiis quando dice che è stata sua l'idea, benevolmente recepita da Sarri, di applicare al Napoli il 4-3-3: fermo restando che i moduli sono spesso chiacchiere: Berlusconi ha un passato da esperto di calcio fin dai tempi in cui, ventisettenne, allenava l'Edilnord, la squadra della sua azienda, mentre il passaggio decisivo di De Laurentiis da Cinecittà a Castelvolturno è ancora di là da venire come la sua profonda competenza pedatoria. Ma mentre il saggio Sarri alla “rivelazione” di avere ricevuto una lezione presidenziale preferisce non dire parola, l'audace Siniša pochi giorni fa, dopo l'ennesima sortita del “Cav” se n'è uscito con un «qui comando io» che poteva costargli la ghirba alla vigilia di due partite delicate, con Chievo e Lazio: discreta la prima vittoria, buonissima la seconda, il Milan quinto in classifica può davvero candidarsi a una qualche Europa, così come sempre più spesso agita Galliani. Bravo è stato Berlusconi a non rintuzzare Mihajlovic, bravissimo il serbo a non lasciarsi confondere nel lavoro quotidiano, mostrandone un primo inatteso risultato: la redenzione di Cerci. Fosse sofferente di spirito o di gambe, Alessio si è finalmente mostrato all'altezza delle speranze rossonere, avviandosi dal terreno dell'Olimpico – alle spese della Lazio – a conquistare il popolo di San Siro che sogna una squadra di guerrieri dopo aver sopportato un complesso di piedi dolci. Ottima l'intesa di B&M anche su Mexès: il presidente l'ha voluto, il tecnico lo ha prima accettato obbedendo eppoi l'ha spedito in campo a punire la Lazio, dando ragione a Berlusconi non da cortigiano sottoposto ma da saggio collaboratore che sa di giocarsi con il Milan la carta più preziosa per far carriera non con i proverbi e le citazioni ma con i fatti. Così si può far rinascere quella ch'è stata la più potente squadra d'Europa.
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