Intorno al 1960 ho vissuto per un certo tempo nella Maison d'Italie della città universitaria di Parigi, dove era facile farsi amici che venivano da tutto il mondo o quasi. Frequentavo soprattutto i latino-americani (la mia compagna era cresciuta in Messico e conoscevo molti argentini), e feci amicizia tra gli altri con un giovane che un giorno mi portò a pranzo nel ristorante di un grande albergo sugli Champs Elysées perché voleva conoscessi sua madre e il suo secondo marito, che era poi un recente premio Nobel guatemalteco, lo scrittore e poeta Miguel Ángel Asturias. Era un signore (anche ex-diplomatico, e vicino ai cubani) da cui restai incantato e che copersi di domande sugli scrittori del subcontinente, soprattutto, ricordo, il cubano Carpentier e il cileno Arguedas di cui più tardi convinsi l'Einaudi (grazie alla insistenza di Chichita Calvino e del marito, che nel frattempo lo aveva letto) a pubblicare uno dei più bei romanzi del '900, I fiumi profondi (tra le mie carte più care, c'è un biglietto di Arguedas, che mi ringraziava... Si suicidò per amore di una giovane allieva, poco tempo dopo). Asturias era considerato non dei più grandi, un po' come Carpentier, ma il tempo gli ha reso giustizia ed è davvero un grande: Leggende del Guatemala fece scoprire un'intera tradizione culturale ed entusiasmò Paul Valéry, nel 1930; due anni dopo Il signor presidente fu il perfetto ritratto della figura del dittatore d'ogni paese; Uomini di mais (1947) il ritratto di un popolo; il ciclo "bananero" iniziato con Vento forte e proseguito con Il papa verde raccontò le basi dell'economia del Guatemala, come sanno bene certi orrendi sfruttatori statunitensi; Mulatta senza nome (1963) ha avuto qualcosa da insegnare a García Márquez; e non voglio dimenticare che fu lui a tradurre in spagnolo, facendolo scoprire alla cultura del '900, Popol Vuh, il libro sacro dei Mayache è alla base della loro cultura e della loro storia (lo tradusse Einaudi, e dovrebbe ristamparlo!). Molti anni dopo aver conosciuto Asturias, conobbi altrettanto velocemente l'altro premio Nobel del Guatemala, stavolta per la Pace (1992), la formidabile Rigoberta Menchú, pubblicata da Giunti in una bellissima collana di scrittrici di tutto il mondo ideata e diretta da Roberta Mazzanti. Ma i miei ricordi non si fermano qui. Molti anni dopo, a Roma, mi feci portare da un'amica viaggiatrice le riviste migliori del Brasile per studiarmele e rubarne qualcosa per la nostra, e una foto di copertina attirò la mia attenzione, quella del più irriducibile leader guerrigliero del semicontinente. Che non era altri che il figliastro di Arguedas.
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