La rivista di Paolo Flores d'Arcais "MicroMega" pubblica ora in due volumi un bilancio dei suoi trentacinque anni di attività. Quando nacque, a metà degli anni ottanta, si pubblicavano anche "Linea d'ombra" di Goffredo Fofi, "Laboratorio politico" di Asor Rosa e Tronti (che durò poco) e "Diario" di Piergiorgio Bellocchio e mia, una rivista "fatta in casa" e del tutto marginale, in cui i due direttori erano anche i soli collaboratori. Alle spalle di quelle iniziative c'era il Sessantotto italiano, "il più lungo d'Europa", con le sue origini dei primi anni sessanta, origini neomarxiste, neoanarchiche, antiistituzionali, extraparlamentari, e con i suoi finali esiti settari e terroristici. Il migliore Sessantotto aveva voluto ridefinire confini e contenuti della politica in senso più radicalmente e liberamente sociale (l'immaginazione politica andava rinnovata). Ma poi i modelli organizzativi che avrebbero dovuto dare consistenza e continuità ai movimenti di massa vennero prelevati meccanicamente dal remoto passato bolscevico che aveva già portato in Russia al più atroce e longevo dei totalitarismi.
Le nuove riviste anni ottanta offrivano una nuova gamma di alternative problematiche e di linguaggio, nella speranza di riformulare mentalità e cultura di sinistra. La più giovane, variamente eclettica e culturale fu "Linea d'ombra", mentre "MicroMega" costeggiava e incalzava dall'esterno i partiti comunista e socialista tentando di costringere il ceto politico a riflettere. Il decennio di Craxi, di Reagan, di Margaret Thatcher e del neoliberismo stava spingendo in un angolo una sinistra che non riusciva a fare i conti con la fondamentale trasformazione: l'ingresso della classe operaia in una nuova middle class, allargata e culturalmente trasformata dall'espansione dei consumi. La cultura politica di "MicroMega" subì poi una certa involuzione nel corso degli anni novanta, quando il conflitto frontale fra berlusconismo e antiberlusconismo monopolizzò l'attenzione della rivista limitandone molto, credo, la capacità di analisi sociale e culturale. Il vero problema per la sinistra non erano né Berlusconi né la Lega, erano i loro elettori.
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