venerdì 29 aprile 2011
Girano tuttora per il mondo osservatori calcistici che - segno dei tempi - mostrano spesso la stessa competenza esibita dagli osservatori strategici disseminati dai Paesi bellicosi sulle coste del Mediterraneo. Un tempo erano addirittura preoccupati di un bomber cipriota, Sotiris Kaiafas, che nelle file dell'Omonia Nicosia nel '79 aveva collaborato a rifilare quattro gol all'Ajax in Coppa dei Campioni, dimenticando che all'andata gli olandesi ne avevano segnati dieci. Sotiris era arrivato a segnare in campionato 39 gol e l'Adidas gli aveva assegnato la Scarpa d'Oro. Tentai di spiegare a lorsignori che Sotiris giocava da solo, e ci riuscii. Oggi mi vien da ridere quando sento e leggo profondi dibattiti sul duello tattico Mourinho-Guardiola, mentre un'appena sufficiente competenza calcistica aiuterebbe a capire che i risultati spesso li fa - da solo - un ragazzo di 23 anni che in questa stagione, di gol ne ha segnati 52. E non gioca da solo, Lionel Messi. Ma contro il mondo intero. L'altra sera, ha battuto il Real Madrid con due gol di ottima fattura, due classici offerti al mondo intero per dimostrare, una volta di più, che è lui il più grande, l'unico, dopo Maradona, in grado di far vincere "da solo" la squadra in cui gioca. Restando a Madrid, citerei anche chi ha fatto meglio d'entrambi, Alfredo Di Stefano: ma pochi l'han visto giocare, pochi ricordano - io con una punta di nebbia sulle immagini della sua strapotenza - la sua capacità di esser squadra, in qualsivoglia ruolo, centravanti, mezzala, ala, mediano, terzino. Quando l'ho incontrato, a Città del Messico, nell'86, eravamo già, come diceva Brera, "fratelli di panza": mi parlava entusiasta di Maradona, eroe della sua quota argentina. Più di recente, Di Stefano esaltava il connazionale Messi anche come eroe della sua quota spagnola: tanto basti per dire che ci troviamo davanti all'unico vero fenomeno del nostro tempo. L'ho conosciuto ragazzino, ma già campione, e mi raccontava con papà l'avventura della sua prima vita difficile, sorridendone ma con un velo i tristezza negli occhi. L'ho ritrovato in Sudafrica incapace di spiegarsi tanta sfortuna con la maglia celesteazul, eppoi, finalmente, padrone d'Europa e candidato al terzo Pallone d'Oro, come Crujiff, Platini e Van Basten. Eppure, oggi il dibattito è aperto - con punte di insolita e sgradevole ferocia dialettica - non sulla messinscena di Lionel ma piuttosto sull'umiliazione di Mourinho e il trionfo tattico di Guardiola. C'è ancora chi non ha capito che Josè è un furbo postcatenacciaro che ha semplicemente trovato pane per i suoi denti anche perchè l'Inter il catenaccio ce l'ha nel blasone: lo dico per chi lo frequenta più sul piano culturale che sul banale terreno calcistico, in fondo Mou cita Einstein, mica Helenio Herrera o Bernabeu che con la Beneamata e il Real hanno vinto tutto e forse non ne avrebbero sopportato la mirabile immaginifica spocchia. Ma mi preme dire che l'oggi pimpante Guardiola Pepp (così lo chiamava Mazzone: "a Pepp!") non ha vinto con le sue inesistenti mosse tattiche, chè anzi pure il Barcellona ci ha incatramati con una sorta di catenaccetto da palestra: ha vinto perchè Messi, nella confusione di una semifinale che non ha fatto onore alla Champions, ha deciso di rompere gli indugi e far vincere il calcio. Grazie, Leoncino.
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