Eoggi, a Milano sembra quasi un lunedì normale. Non si trova parcheggio, i taxisti lavorano. A Malpensa atterrano voli dall'Europa, di nuovo. E stasera si potrà andare al cinema. Mi lascia incredula, la normalità ritrovata. Troppo ho in mente il silenzio nelle strade, e le notti lacerate dalle sirene, per non meravigliarmi, lieta: Milano, è tornata. Non proprio tutta, però. Quel vecchio signore che salutava il mio cane: "Generale!", e sua moglie, nel quartiere non li vedo più. Una schiera di milanesi con i capelli bianchi se n'è andata. Mi trafigge un pensiero: quanti files di memoria, in pochi mesi, cancellati. Chi aveva novant'anni serbava il ricordo infantile della guerra: stampato per sempre nel cuore il rombo degli aerei che in formazione piombavano sulla città, e il boato delle esplosioni. Chi aveva novant'anni ricordava il fuggire tutti, di corsa, giù per le scale, in pigiama, i bambini attaccati alla gonna della mamma. E il vegliare nei rifugi in cantina, tremando a ogni tonfo – pesante come un martello di gigante su un'incudine. La classe 1930 serbava in sé l'odore acre della polvere delle macerie, quando infine si tornava alla luce, e aveva negli occhi le case sventrate, e un'immagine della Madonna rimasta appesa a un muro. Quelli del '30 avevano visto, toccato il male assoluto che è una guerra. Avevano avuto padri e fratelli, mai tornati dal fronte. Quelli del '30 sapevano, e in tanti, insieme, ci hanno lasciati. Ci restano brandelli di racconti, piccole foto in bianco e nero irreali come sogni. E lettere d'amore ingiallite, e immagini di matrimoni poveri, l'abito bianco cucito a mano. L'eco impalpabile, nei cortili delle case di ringhiera, delle grida di antichi bambini. Quanta memoria, che tesoro cancellato. La memoria, fra gli uomini sfuma come vapore. In Dio tutto è custodito, e vive. Questa speranza più fiera, più certa, l'epidemia mi ha lasciato.
(Si conclude oggi Diario Italia, taccuino dei giorni del Covid).
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