«Picasso ha voluto far credere di essere un pittore e ci è pienamente riuscito». In nota, si spiega: «Quando un uomo scrive, come fa Picasso: “I quadri sono donne impazzite appuntati sul cuore delle bolle sfavillanti strette alla gola dal colpo di frusta carambolico che agita le ali intorno al quadrato del suo desiderio”, è palese che sia un letterato e non un pittore». La stilista Coco Chanel: «Il genio di Chanel fu quello rendere elegante ciò che prima era accettato solo come privazione. Inventò il buon mercato costoso, la miseria ricca, la povertà attraente. È stata un’autentica rivoluzione nel campo della moda e in quello dei costumi, poiché la praticità ha tolto alle donne quel velo di mistero di cui la loro seduzione ha tanto bisogno per esercitarsi pienamente. Con questo, Chanel ha lanciato la moda dei capelli corti e dei gioielli falsi». Sarah Bernhardt: «Spettacolo atroce. La sua voce d’oro, checché se ne dica, ormai è un po’ fessa; non è più in grado di muoversi perché ha perso una gamba tranciata da un ascensore. Resta seduta su una sedia Si comprende l’emozione collettiva all’alzata del sipario. Dopo, la nostra ammirazione ha subìto un duro colpo». André Gide «è un galleggiante che cola a picco». Citazioni che danno un’idea dello stile di Maurice Sachs (1906–1945) nel suo diario intitolato Ai tempi del Boef sur le toit (1939), ora pubblicato da Lindau nella traduzione di Federico Zaniboni (pagine 254, euro 22,00). Il diario va dal 24 luglio 1919 al 30 ottobre 1929. Dal 3 luglio 1928 al 20 agosto 1928, Sachs lascia la parola all’amico Blaise Alias, un po’ come, nel 1933, Gertrude Stein aveva fatto con l’Autobiografia di Alice B. Toklas: ha attribuito il libro alla sua compagna di vita, per parlare di sé in terza persona. È evidente, infatti, che l’ottantina di pagine assegnate ad Alias sono state scritte da Sachs, peraltro con meno smalto delle altre e nonostante che, in nota, Sachs talvolta prenda le distanze da Alias: elegante forma di autocritica sottintesa. Il ritratto che Sachs disegna degli Anni Venti è spietato: la Grande Guerra è alle spalle e i francesi fanno di tutto per dimenticarla, sfrenandosi in balli e ricevimenti in locali come “Il bue sopra il tetto” che dà il titolo al libro. Il tono è disincantato come nel miglior Arbasino, ma senza il birignao del vogherese e non senza soprassalti di autocoscienza: «Buon Dio, quanto sono frivolo! Eppure, non sono più stupido di altri, né incolto, né incapace; è che non ho alcuna voglia di essere serio». Nelle ultime pagine, però, ammette: «Un giorno o l’altro, dovrò pur decidermi a vivere». Nel risvolto di copertina, Sachs è presentato con le parole di Wikipedia: «Di origini ebraiche e omosessuale, visse un po’ prostituendosi all’intellighenzia gay parigina dell’epoca, un po’ rubando, e un po’ con gli introiti del normale lavoro di scrittore. Alla fine della sua vita non esitò a diventare spia e collaboratore della Gestapo. Ciononostante, fu imprigionato dai tedeschi in fuga e poi ucciso con un colpo di pistola alla nuca». Una vita «senza drammi», finita in tragedia.
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