Oggi, 16 maggio, è il compleanno di mio padre, Mario, e siccome uno dei più bei regali che ho ricevuto da lui è stato quello di avermi fatto innamorare del calcio voglio regalargli la figurina del suo idolo di gioventù, Omar Sivori. Mi dispiace che quel luglio 2004, l'ultima estate del gran cabezon argentino, tornato in Italia perché sapeva di morire, mio padre non fosse lì con noi alla Locanda di Scapezzano (Senigallia) per dirgli: «Sivori sei stato il più grande... anche di Maradona». Lo feci io, e gli consegnai l'altro dubbio paterno: «Chiedigli se ricorda lo schiaffo che John Charles gli diede in campo per calmarlo ed evitargli l'ennesima espulsione». «Certo che mi ricordo dello schiaffo - rispose secco Omar -. L'unica cosa che mi è sempre dispiaciuta è che io passavo per il cattivo e John per il lord. Ma io picchiavo anche per lui... perché era troppo buono». Anche Omar il terribile però era diventato buono, tranne quando si finiva a parlare dei corrotti che stavano rovinando il gioco. «Maradona tempo fa mi ha detto: "L'unica cosa pulita del calcio è rimasta il pallone". Ha ragione», sospirò. Brindammo felici sotto una luna leopardiana, ma l'ultima sera, prima di abbracciarmi, ha pianto. Gli ricordavo il figlio perduto: «Non è giusto - disse Omar - che un padre sopravviva a un figlio. La vita a volte è un gioco crudele, altro che il calcio».
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