mercoledì 4 agosto 2021
Nei corposi Indici dei sei Meridiani Mondadori dedicati a Eugenio Montale – non è l'Opera omnia, manca il Diario postumo – il nome Margherita Dalmati non figura. Compare nella biografia premessa al Meridiano delle Poesie per via del viaggio in Grecia che Montale compì nel 1962, auspice Margherita Dalmati alla quale è erroneamente attribuita la direzione dell'Istituto italiano di Atene. Un'attenta ricerca di Alessandra Cenni negli archivi di Maria-Nike Zoroyannidis (nome anagrafico di Margherita Dalmati, 1921-2009) ha scovato un mannello di lettere che dal 1956 al 1974 Montale scrisse alla poetessa e musicista ellenica. Ne è venuto il piccolo libro intitolato Divinità in incognito, pubblicato da Archinto (pagine 116, euro 18,00). Sono 42 lettere, ben 25 delle quali sono del 1962, l'anno del fatidico viaggio ad Atene. Poi il carteggio diventa sporadico. In quel viaggio, Montale era accompagnato dalla moglie, Drusilla Tanzi (la Mosca) già malata per le conseguenze della rottura del femore. Si sposeranno con rito cattolico il 23 luglio 1962; il matrimonio civile è del 30 aprile 1963; la Mosca morirà il 20 ottobre dello stesso anno. Abbiamo (ho) detto e scritto più volte che non si deve considerare Montale uno sciupafemmine: verso le sue molte ispiratrici, i suoi sono sempre amori in absentia, verso donne idealizzate sempre lontane. Anche verso Dalmati non sembra che ci sia stato altro che una complicità amichevole: lo afferma egli stesso nella lettera del 16 luglio 1962: «Io sono uno sposato che non esercita [dal 1934] i diritti coniugali: uno sposo… teorico, un fratello e un medico di mia moglie, nient'altro». I vocativi e i congedi affettuosi delle lettere a Margherita sono scherzose iperboli goliardiche, non sembrano celare intimità. Montale usò Margherita per le sue traduzioni da poeti neogreci (Kavafis, Seferis) che poi rielaborava e pubblicava a proprio nome, come faceva con Lucia Rodocanachi che per lui, scarsamente retribuita, traduceva dall'inglese. Nel 1947 Bice Chiappelli intentò una causa di plagio contro Montale per la traduzione di Strano interludio di Eugene O'Neill; il lungo iter giudiziario si concluderà nel 1953 con la condanna del poeta. L'unica volta che Montale cita Dalmati, che ha anche tradotto in greco i Mottetti montaliani, è per una poesia (bruttina) di lei in calce a un articolo poi raccolto in Fuori di casa, attribuendola però «a un non nominato poeta greco vivente». Far passare Margherita Dalmati come “ultima Musa” di Montale è una forzatura che diventa errore di interpretazione quando Alessandra Cenni ritiene di identificare Margherita nel testo La mia Musa (nel Diario del '71 e del '72): qui Montale parla genericamente della sua poesia, non sarebbe lusinghiero per Margherita o altra ispiratrice farle indossare «i panni dello spaventacchio», affermando che «ora ha ancora una manica / e con quella dirige un suo quartetto / di cannucce». Cenni ha ragione però quando afferma che le poesie di Montale, da Satura (1971) in poi, «si esprimono in un linguaggio difficilmente decifrabile senza l'apporto dei documenti biografici». Se la biografia diventa indispensabile, vuol dire che la poesia non ha voce propria e, addirittura, che forse non c'è più.
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