«Come si resiste? Si resiste male. I racconti delle donne ci rimangono nell'anima... ». La forza di Manuela Ulivi è la semplicità. La concretezza. E la determinazione. Questa avvocata di 61 anni, capelli corti e sorriso stampato sul volto, è arrivata da ragazza dalla provincia mantovana a Milano con la voglia di cambiare il mondo.
E il suo sogno in effetti l'ha realizzato. Nel 1986, insieme ad altre amiche e colleghe (femministe) dell'Unione Donne Italiane, ha dato vita alla prima Casa di accoglienza delle donne maltrattate (Cadmi) in Italia, di fatto il primo Centro antiviolenza nel nostro Paese, di cui dal 2011 è presidente.
Da più di 30 anni ascolta, consiglia, difende e costruisce futuri per chi non pensava nemmeno di avere un presente. «Noi al Cadmi siamo battagliere, e questo aiuta a non arrenderci. I colloqui con le donne che chiedono aiuto li facciamo in due, per dare il senso della forza della relazione tra donne», racconta ad Avvenire proprio in occasione del 25 novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. All'inizio erano soprattutto casalinghe di mezza età, che riconoscevano tardi i meccanismi della violenza maschilista e tardi decidevano di sfuggirne. «Oggi arrivano più giovani, e questo è un bene, perché vuol dire che i Centri antiviolenza (ormai 366 in Italia) hanno diffuso una nuova consapevolezza. Le donne si affrancano dalla violenza con più facilità perché sanno che c'è qualcuno che le ascolta».
L'avvocata Ulivi è una donna con i piedi ben ancorati a terra, la sua competenza di giurista si accompagna a una fortissima empatia. «Avvicinandomi alla causa delle donne maltrattate intendevo coniugare la mia professionale di avvocata civilista con l'impegno sociale. Dopo l'apertura della Casa di accoglienza di Milano, la prima in Italia, ci siamo rese conto che c'era un problema con le persecuzioni degli uomini ai danni delle donne: aumentavano, diventavano insopportabili ma non c'erano leggi specifiche, così ci siamo impegnate per colmare un vuoto legislativo».
Ulivi è stata una delle madrine della legge 154 del 2001 ("Misure contro le violenze nelle relazioni familiari"), che ha introdotto misure cautelari come l'allontanamento dalla casa familiare, poi ispiratrice della legge contro lo stalking del 2009, mentre conserva qualche perplessità sulla legge del 2013 contro i femminicidi e sul Codice rosso del 2019 («Troppo calate dall'alto»). Dopo aver ascoltato per decenni storie di donne piegate dalla crudeltà maschile, ferite nel fisico e nella psiche, Manuela Ulivi confessa di non essere ottimista sulla capacità di un uomo violento di cambiare. «Soggetti di questo tipo pensano sempre che sia colpa di qualcun altro, si atteggiano a vittime di traumi vissuti da bambini oppure della stessa donna maltrattata. Quando, già condannati, accettano di sottoporsi a programmi di rieducazione, lo fanno per convenienza, per fruttare vantaggi, non per convinzione», racconta. E dunque, è lecito aspettarsi che abbia accumulato una certa disistima per gli uomini? «No, affatto – reagisce di slancio Manuela Ulivi – ho un marito e un figlio adulto, non generalizzo sul maschile. Mi rendo conto che avendo vissuto millenni di dominio hanno posizioni di potere difficili da scalfire. Ci sono uomini in gamba che rispettano le donne e poi ci sono uomini che pur avendo valori sani dovrebbero impegnarsi di più. Ecco, tiro le orecchie a tutti gli uomini che questo tema lo lasciano trattare solo a noi».