Fa una certa impressione ascoltare il neo-ri-segretario del Pd Matteo Renzi parlare di mamme nel primo discorso all'assemblea del suo partito. "Mamme" non è un termine che ricorre così spesso nel lessico politico, tanto meno in chiave programmatica e a un livello di ufficialità così alto.
Qualcuna protesta: doveva dire donne! e quelle che non sono mamme? a quando "fattrici"? Non la intendo affatto così. "Donne" avrebbe reiterato il vuoto pneumatico della retorica paritaria. "Mamme" - al netto della possibile astuzia propagandistica - significa riportare al centro chi sta ai margini dei margini, senza aiuti, pagando alte penalties, priva di ogni gratitudine. E restituire centralità politica alla relazione, perché la parola madre è immediatamente relazionale. Il fatto che poi una non sia personalmente mamma ha importanza relativa: una donna è una che può essere madre, non che deve necessariamente esserlo. Sempre più spesso, oggi, una che vorrebbe esserlo ma per farcela deve lottare contro sette draghi, rinviando sine die. Come dice la teologa femminista Mary Daly, «la libertà riproduttiva delle donne è repressa ovunque». Se c'è del buono nella produzione di nuovi discorsi sulla maternità, perfino nell'orrore dell'utero in affitto, perfino nella bomba-madre di cui parlavamo ieri, è nel riportare al centro ciò che lì, al centro, deve stare. Per il bene di tutte e di tutti.
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