«Se scopriamo che quasi il 99% del Dna accomuna un essere umano a uno scimpanzé, non dobbiamo stupirci» (La Stampa, mercoledì 20). Secondo Telmo Pievani, filosofo della scienza alla Bicocca di Milano, questa vicinanza genetica alle scimmie dimostra che «l'uomo non è più l'eccezione sacra», ma che «siamo animali», anche se «a modo nostro». In fondo, «abbiamo percorso insieme gran parte della storia naturale e ci siamo separati solo sei milioni di anni fa, è normale avere questa percentuale di genoma identico». Anzi, siamo anche un po' vegetali. Pievani ci informa: «Se vogliamo saperlo, condividiamo una parte consistente del Dna anche con la banana». I ragazzi delle elementari, che non sanno che «nel linguaggio c'è la prova che Darwin aveva ragione», già da molto tempo hanno spiazzato, a modo loro, il filosofo: dicono che «la ba-nana è una ba-donna ba-piccola ba-piccola».
Al professor Pievani, secondo cui «la scommessa più affascinante, che ci attende nei prossimi anni, è capire come sia possibile che solo l'1% di Dna generi due primati così differenti», bisognerebbe far capire che proprio quell'1% dimostra «l'eccezione sacra» dell'uomo. Per comprenderlo non c'è neppure bisogno di smontargli la teoria evoluzionistica. Basta una minuscola scintilla di - mi si passi l'espressione - "Dna divino" (il soffio del Creatore) per fare una differenza enorme.
AVE MARIA?
Per difendere laicamente il testamento biologico Adriano Sofri si serve addirittura dell'Ave Maria, interpretandone a modo suo il versetto finale: «Nunc et in hora mortis nostræ». Su Repubblica (giovedì 21) scrive: «Il tempo della morte - adesso e nell'ora - sarà diverso per ciascuno di noi». E spiega: «Non credo che la "nostra morte" voglia dire la morte che aspetta tutti gli umani. Vuol dire che anche il modo sarà diverso per ciascuno, come il tempo e che a ciascuno apparterrà la propria morte. Se avesse voluto parlare della fine che tutti ci aspetta, avrebbe detto: "Nunc et in hora mortis". Dice "nostræ", perché, "pro nobis peccatoribus", è altra per ognuno di noi peccatori». Dunque, conclude, se la morte è nostra ciascuno di noi può farne una a modo proprio con il testamento biologico.
Povero Sofri, ha inciampato sull'"ora pro nobis", che non cita, e non si è accorto che quell'invocazione è una richiesta a Maria di pregare perché noi peccatori si muoia non nella presunzione e nel peccato, ma nell'abbandono a Dio. Esattamente il contrario della sua tesi.
MA NON CI è ANDATO
Sempre su Repubblica, Michele Serra scriveva, sabato 16 che «se potessi essere a Roma, andrei al Gay Pride perché riconosco nei diritti degli omosessuali i miei stessi diritti». Sette volte ha ripetuto «Ci andrei», però non ci è andato e non ne spiega il motivo. Ipotesi: forse perché non gli andava di rivendicare esplicitamente, lui con la sua bella famiglia, i cosiddetti «diritti» dei gay?
Ed ecco, a mo' di contorno, qualche titolo di giornale dopo il Pride. L'Unità, ottimistica: «Che allegria, che sorrisi: una piazza contro nessuno». La Repubblica, anodina: «Attacchi al Vaticano e a Prodi». Liberazione, minacciosa: «Arrendetevi, siamo dappertutto», «Un milione di gay ci salva dal Vaticano!», «Perché siamo contro la famiglia», «Articolo 29, cancelliamolo», «Bruceremo il Vatican...».
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