Si fa presto a dire: antipatico, irritante, mercenario, dell'uno. E: simpatico, sensibile, appassionato, dell'altro. L'ho detto anch'io: di Ibra e di Kakà, dei due ragazzi che già nel nome - come Pelé - sono campioni, simboli, immagini vincenti. E bandiere. Ma il festival mediatico che li rappresenta quotidianamente con paginate di giornali e ore di tivù - alternativa alle tragedie quotidiane e alla fastidiosa campagna elettorale - di bandiere ne riconosce solo una: Kakà "il Buono", Kakà che ignora il Real, Kakà «che vorrebbe restare rossonero tutta la vita», Kakà tradito da Galliani, da Berlusconi, dal Milan; anche se papà Leite ha già in mano da mesi i moduli di trasferimento da compilare, gli estremi bancari di riferimento e in testa i sogni da realizzare con le decine di euromilioni che il bravo figlio porterà a casa: stavolta tutti per sé e niente per quella setta religiosa, che se n'è mangiati tanti in opere di bene. Per chi la guidava.
Ibrahimovic invece no. Ibra non è una bandiera: anche se la dimestichezza con gli scudetti (sette in otto anni) fa sospettare che l'Inter gli debba tanto; anche se la fresca qualifica di cannoniere del torneo (25 gol, ahi povero Di Vaio bomber di quel povero Bologna) fa pensare che senza di lui - magari con Mancini e Quaresma, ultimi arrivati - l'Inter non sarebbe andata molto lontana; anche se il caro antico Giampiero Boniperti ne dice ogni bene eppoi lo rimpiange («proprio noi della Juve gliel'abbiamo dato...»); anche se non vedo sulla scena internazionale un altro campione capace di dare concretezza ai sogni europei di Moratti, sempre che al prossimo giro di Champions lo "Specialone" sappia utilizzarlo a dovere, non come un pino solitario là davanti. E allora voglio dire che il calcio nostrano subirebbe un duro colpo non solo se se ne andasse Kakà, peraltro piuttosto opaco nell'ultima stagione di Ancelotti che non lo vedeva punta ma gran suggeritore, e gli negava le "sambate" pretendendo piuttosto concretezza e quei lunghi tagli del campo che l'hanno poi reso famoso. Perderemmo anche - insieme a Ibra l'Antipatico - il suo straordinario mix di genialità e generosità, mai un gol uguale all'altro per l'allegria di Moratti e potenti sgroppate in retrovia per consentire a Julio Cesar di restare il portiere più forte del mondo. Potrei continuare il confronto all'infinito e invece mi viene in mente che il Milan - forse per attuali virtù di Paolo Maldini e di Gattuso, o per l'eredità del buonuomo Rocco e di Rivera, la gran bandiera - abbia più diritto dell'Inter alla nostalgia, alla tradizione, alla conservazione delle sue bandiere, Kakà compreso; perché l'Inter è pazza, l'Inter è babelico crogiuolo di nazionalità, l'Inter è morattianamente spendacciona, l'Inter è pervasa di herrerismo che adesso si chiama mourinhismo. Sarà tutto vero. Ma giuro che quando alla festa-scudetto di San Siro ho visto Zlatan Ibrahimovic giocherellare coi suoi pupi biondi, esibendo per la prima volta - e felicemente - un tratto della sua riservatissima vita privata, non solo l'ho trovato simpatico, ma anche più spontaneo di Kakà.
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