AMadrid, al Prado, c’è un Cristo di Tiziano, anno 1565. Cristo porta la Croce aiutato da un vecchio cireneo. Un’icona dipinta da mille artisti. Ma questo volto di Cristo a me sembra violare il tempo, l’abitudine, la dimenticanza: mi porta in quell’istante dell’anno 33, a Gerusalemme.
Lui è molto giovane. Il sangue stilla sulla fronte, la fatica di sorreggere la Croce è percepibile nella mano tesa e piatta sul legno.
Ma gli occhi, è l’espressione degli occhi che ti attraversa. Quel Cristo guarda chi lo guarda. Colto nella sofferenza e impotenza assoluta, non rimprovera: ci guarda e sembra chiedere aiuto. Aiutatemi, perché il peso della Croce è immane. Perché il martirio è atroce, perché forse lo insegue quell’ombra insopportabile: «Mio Dio, perché mi hai abbandonato».
Uomo, il Cristo di Tiziano, più che Dio. Massacrato, tuttavia sceglie la Croce, come vuole il Padre. Sarà per sempre accanto ad ogni sacrificato, a ogni perseguitato, agli ebrei dell’Olocausto e ai bambini di Gaza, e del Donbass, e di mille guerre dimenticate. Talmente uomo, quel volto, che mi ricorda un mio fratello nell’agonia: lo stesso pallore, la stessa domanda negli occhi.
Quel Cristo mi seduce. Mi commuove: quasi che ora, vecchia, vedessi in lui un figlio. «Dov’è Dio, nel male cui assistiamo?» ci chiediamo scandalizzati. Io lo vedo in quel Cristo che ci guarda. Lui è qui: non se n’è mai andato.
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