Per celebrare a suo modo "Lotto marzo" (è di moda l'economia di apostrofi) un lettore dell'Unità si è messo figurativamente nei panni femminili («Se io fossi una donna…») e ha provato come reagirebbe «se decidessi di abortire». Così ha scritto allo psichiatra e psicoterapeuta Luigi Cancrini (venerdì 9) una lettera in cui non ha citato le migliaia di persone che aiutano le donne decise ad abortire a diventare felici di non averlo fatto; non ha ricordato la possibilità di accedere al misericordioso perdono divino che papa Francesco ha in qualche modo "allargato" concedendo la facoltà di amministrarlo a tutti i sacerdoti e messo dunque senza altri ostacoli a disposizione di chi, rendendosi conto di ciò che ha fatto, avesse voluto liberarsi del peso anche psichico del rimorso di aver rifiutato la cosa più bella che una donna possa fare. No, invece di ricordare sua madre che l'ha fatto nascere, ha pensato ai «giudizi o agli insulti di una banda di uomini vestiti di tonache ora nere, ora bianche, ora viola che non possono affrontare una gravidanza né una sua interruzione. Troppo spesso – ha aggiunto – incontrerei persone in camice bianco, coscienziosamente genuflesse a quegli altri che mi negano la contraccezione di emergenza», cioè i veleni che provocano l'espulsione dell'ovulo appena fecondato, cioè una nuova creatura. Questa ipotetica femmina maschile denuncerebbe «chi si permette un'aggressione, ledendo il diritto di essere donna liberamente». Non sarebbe valsa la pena di citare qui lo sfogo maschile e immaginario di un lettore, se non ci fosse stata la risposta di un uomo di scienza. «Condivido pienamente – scrive Cancrini – la tua lettera e l'invettiva che tu giustamente scagli contro le persone, religiose o furbe, che si permettono di offendere chi si sente costretto ad abortire…» eccetera e gli propone il detto dantesco «non ragioniam di lor, ma guarda e passa». Povero lettore ricorso a uno che cura i malati mentali e che cita Dante con quei due versi del 3° canto dell'Inferno, dove il poeta si occupa degli ignavi, cioè dei colpevoli di pigrizia morale e non di tonache che non fanno del male a nessuno. Che cosa resta, allora? Solo lo stile laicista della lingua biforcuta: l'antilingua, che parla usando parole che si dicono per non dire, quelle che si ha paura di dire, cioè qui la tragica realtà dell'aborto.
IL LOTTO MARZO
Tra «le ragioni di un giorno senza donne» – l'otto marzo quest'anno è diventato in certo senso «lotto marzo» a causa dello "sciopero" al femminile che ha caratterizzato la festa –, il Manifesto ha sbandierato la stima che McKinsey, società internazionale di consulenza manageriale, fece nel 2015 a livello mondiale «sul lavoro di cura» tipico delle donne, ma non retribuito: «Diecimila miliardi di dollari, equivalenti, più o meno, al prodotto interno lordo della Cina». Stima interessante, ma deludente. Il lavoro di cura è quello che rende le madri, le mogli, le figlie stupefacenti e disinteressate donatrici di amore gratuito per l'"altro". Così sindacalmente e rivendicatoriamente presentata, la cura perde il suo valore e riduce «Lotto Marzo» a una scommessa al lotto.
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