«Forsi û tremâ cume de giass fa i stèll, no per el frègg, no per la pagüra, no del dulur, legriâss o la speransa, ma de quel nient che passa per i ciel e fiada sü la tèra che rengrassia…». Tradotto, dal milanese: «Forse ho tremato come di ghiaccio fanno le stelle, no per il freddo, no per la paura, no del dolore, del rallegrarsi o per la speranza, ma di quel niente che passa per i cieli e fiata sulla terra che ringrazia...». In questo deserto metropolitano, mi mancano tante cose. A cominciare dai caldi abbracci amicali. Ma questa settimana, l'«assenza più acuta presenza» bertolucciana, la provo per la perdita di Franco Loi, autore di quei versi da ghiaccio bollente. A 90 anni ci lascia un uomo puro come un giglio. Un generoso epigono dialettale, degno erede del Tessa e del Porta: poeti estinti da tempo, specie sugli scaffali dei milanesi da bosco e da riviera verticale. Il ricordo più commosso, fino alle lacrime vere, quello di Mauro Raimondi, che, in una calda estate di una Milano più vuota, ma meno triste e spaesata di adesso, in casa Loi aveva scritto assieme al suo amato Franco, la biografia-romanzo Da bambino il cielo (Garzanti). Loi è stato anche un gran “poeta del gol”. Una sera a Lodi, in un'osteria di pescatori in riva all'Adda, venne convocato da “zio Athos” Andrea Maietti, biografo “senior” di Gianni Brera (il “junior” è Claudio Rinaldi, direttore della Gazzetta di Parma). E Loi, come il fiume che lento ci scorreva affianco, a un tratto tracimò sulla sua «squadra del cuore, il Milan»: quello del “GreNoLi”, del Paròn Rocco, e poi chiosò su Gianni Rivera. Già, l'Abatino, celebrato da Maietti in Nato a Betlemme (Limina). Fu una notte di stelle e di calici (rosso di San Colombano) alzati al cielo dall'allegra compagnia del beremangiare, in cui mancava (e quanto manca adesso) solo Gianni Mura che, nell'ultimo tratto di vita, nei suoi domenicali Cattivi pensieri invece non mancava mai di omaggiare un poeta. A cominciare dal suo preferito, Vincenzo Cardarelli, del quale Mura aveva scolpito nel cuore quei versi: «Dovevamo saperlo che l'amore / brucia la vita e fa volare il tempo». Del calcio di poesia restano sempre meno tracce. Oramai, noi cuori di cuoio ci emozioniamo anche alla notizia che il brasiliano Maicon, a 39 anni, (eroe del “Triplete” dell'Inter di Mourinho) accetta di tornare a giocare in Italia assieme al figlio, il 15enne Felipe, al Sona, serie D. E si provano i brividi nel leggere – sul Foglio Sportivo – il moschettiere delle storie a pedali Gino Cervi, quando ricorda che su un altro campo di provincia, quello di Casarsa – in cui si dilettava il giovane “Stukas” Pier Paolo Pasolini – , nel maggio 1981, “Pablito” Rossi (allora squalificato per il Calcioscommesse) scendeva in campo assieme all'unico vero “poeta del gol” generato, in cento e più anni, dal pallone italiano: Ezio Vendrame. Rossi è appena volato via, Vendrame – che a Casarsa c'era nato (nel 1947) – , arrivato da poco Lassù (aprile 2020), lo avrà abbracciato – come nella foto scattata quel giorno – recitandogli i suoi versi, quasi cardarelliani: «Ce l'ho con l'amore che tanto mi fa male. Dalla voliera dei sogni sono spariti i trespoli...».
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