Lo sport più che a vincere può insegnare a perdere
mercoledì 5 marzo 2025
Si dice, a ragione, che lo sport, più che a vincere, insegni a perdere. Il fatto è abbastanza semplice: nello sport, in tutti gli sport, si perde molto di più di quanto si vinca. Roger Federer, uno dei più grandi tennisti della storia, nella sua splendida lectio magistralis, in occasione dell’assegnazione del dottorato honoris causa in lettere al Dartmouth College, ha detto: «Nel tennis la perfezione è impossibile. Delle 1.526 partite di singolare che ho giocato nella mia carriera ne ho vinte quasi l’80%, ma ho vinto – in quei match – solo il 54% dei punti. In altre parole, anche i migliori tennisti del circuito vincono, a malapena, poco più della metà dei punti che giocano». Chi perde, insomma, sa vincere. E sa vincere in un certo modo, perché conosce bene entrambe le situazioni: «Che tu possa incontrare il trionfo e il disastro e trattare questi due impostori allo stesso modo» è un verso della famosa poesia If di Rudyard Kipling che, non a caso, è scritto proprio all’ingresso del campo centrale di Wimbledon. Il momento storico che stiamo vivendo, temo molto difficile da raccontare quando, in un prossimo futuro, qualcuno dovrà descriverlo su un manuale scolastico, verte sull’esatto contrario: l’umiliazione dello sconfitto e il vilipendio della sua fragilità. Ha deciso così uno degli uomini più potenti al mondo, seduto dietro la scrivania presidenziale del Paese che per generazioni abbiamo considerato baluardo e garante della democrazia. Donald Trump in 48 ore, prima con un vergognoso video fatto, non a caso con quella che si chiama “intelligenza artificiale”, ha trasformato i 360 chilometri quadrati più martoriati del mondo in una sorta di resort, dove i dollari piovono dal cielo, ci sono statue d’oro a lui dedicate e i bambini giocano felici sulla spiaggia, sotto alle palme. Bambini che evidentemente non sanno che decine di migliaia di loro potenziali compagni di giochi sono stati uccisi o mutilati, proprio lì, da bombardamenti a tappeto. Poche ore dopo ha ricevuto alla Casa Bianca il leader di un Paese invaso e aggredito da un esercito mille volte più potente del suo e ha deciso di umiliarlo in diretta mondiale, a favore di telecamere: prima per il suo non essere abbastanza elegante e poi per non aver accettato supinamente una specie di strozzinaggio in cambio degli aiuti di cui quel Paese ha bisogno, per non soccombere. Questa rubrica parla di sport e sulle lezioni che lo sport può insegnare, per esempio sul modo in cui trattare la sconfitta e gli sconfitti, vuole restare. Ricordando che Donald Trump nel 2011 partecipò in diretta televisiva alla Battle of the Billionars di wrestling. Vestito di tutto punto, in effetti, dopo aver steso con una mossa di lotta e preso a cazzotti Vince McMahon, imprenditore e promoter, era salito sul ring brandendo un rasoio in mezzo a una folla ululante e, legato il suo avversario mani e piedi a una sedia, lo aveva rasato a zero. Ridevano tutti, allora. Lo so, penserete che io abbia mangiato pesante o abbia fatto un brutto sogno; invece, troverete molto facilmente le immagini sulla rete. A voi la considerazione se il wrestling sia sport o finzione. E se anche quella che eravamo abituati a chiamare realtà, lo sia diventata. © riproduzione riservata
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