La nostra progressiva insofferenza nei confronti degli immigrati dovrebbe confrontarsi con la realtà e con la storia. Dimentichiamo che negli altri Paesi europei essi sono presenti in modo strutturale; facciamo finta di non sapere che negli anni dell'espansione economica ce ne siamo serviti e avvantaggiati; non consideriamo che il nostro saldo demografico positivo è merito loro. Senza dire, in preda a una improvvisa amnesia, che ci siamo scordati di quando già da fine Ottocento e inizi Novecento gli immigrati eravamo noi italiani verso oltreoceano. La nostra stessa Europa non è forse un arcipelago di popoli, come inconfutabilmente prova la pluralità delle lingue? Già Seneca nel I sec. d. C. scriveva che «c'erano più immigrati che cittadini» (Consolazione alla madre Elvia 6, 5 plures … peregrini quam cives): testimonianza ora confermata e avvalorata da un'analisi del Dna dei defunti effettuata da un gruppo di scienziati. La ricerca - alla quale la Rivista Science ha dedicato la copertina - ci restituisce una Roma imperiale crocevia di civiltà, melting pot di etnie, una sorta di New York, dove confluivano genti dal Nord Europa, dal vicino Oriente e dal Nord Africa: la stessa regione da cui oggi arrivano gli immigrati. Con una differenza: la traversata del mare allora era meno pericolosa.
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