Una sorta di "direttiva" europea sulla libertà di stampa, sulla falsariga dei "Media freedom Act" anglosassoni. O più probabilmente un pronunciamento meno vincolante, sotto forma di "raccomandazione" ai Paesi membri, perché venga garantita la sicurezza dei giornalisti al lavoro in tutta l'Unione. Il progetto, anticipato a grandi linee la scorsa settimana durante la presentazione del secondo rapporto sullo "Stato di diritto", dovrebbe realizzarsi subito dopo la pausa estiva, nella riunione della Commissione Ue in calendario per il 14 settembre.
A dare impulso all'iniziativa è stata la morte, dopo giorni di inutili tentativi di cura, del reporter investigativo olandese Peter de Vries, vittima di un agguato del crimine organizzato, del quale aveva spesso rivelato gli sporchi traffici, non solo nel suo Paese. Ma la tragica scomparsa di de Vries è stato solo l'ultimo di una serie di delitti e di altre azioni, sia segrete sia palesi, che hanno per bersaglio operatori dei mass media. Il rapporto sullo Stato di diritto vi si sofferma a grandi linee, ma la vicepresidente dell'esecutivo di Bruxelles, la ceca Vera Jourová, responsabile per le politiche sui valori e la trasparenza, ha assunto il solenne impegno ad affrontare con decisione il tema.
La sua determinazione non è di oggi, perché già in precedenza aveva preso posizione più volte, sottolineando che "la salute del diritto all'informazione è direttamente collegata alla salute delle nostre democrazie". Del resto anche il crescendo di minacce e attentati, ai danni di chi vuole fare informazione libera da condizionamenti, non è un fenomeno di questi giorni. Il delitto De Vries, in qualche modo, riecheggia il tragico assassinio della maltese Daphne Caruana Galizia, fatta saltare in aria nell'ottobre di quattro anni fa da un complotto che ha coinvolto malavita organizzata dell'area mediterranea ed esponenti legati all'esecutivo di La Valletta. Analoga sorte è toccata pochi mesi dopo al ventottenne reporter slovacco Ján Kuciak, ucciso in casa sua assieme alla fidanzata, per mano degli affaristi sui cui legami politici indagava.
Ma non sono solo i grandi delitti a minacciare il lavoro giornalistico. Da tempo crescono le denunce in diversi Paesi, per le pressioni politiche e i condizionamenti
economici ai quali testate di ogni genere sono sottoposte. Senza contare il sempre più diffuso ricorso, in diversi Stati europei, alle cosiddette "querele temerarie", che costringono la stampa a difendersi in tribunale da accuse inverosimili e richieste di risarcimenti astronomici, quasi sempre bocciati dai giudici, ma sufficienti a intimidire e frenare il lavoro di indagine giornalistica. Non per caso, già all'inizio di giugno, la Commissione libertà civili, giustizia e affari interni del Parlamento europeo ha annunciato un'iniziativa contro queste pratiche, definite con la sigla in inglese "Slapp".
Da ultimo, lo scandalo politico-spionistico sul caso Pegasus, il virus informatico di fabbricazione israeliana che ha permesso a numerosi governi autoritari di sorvegliare migliaia di cellulari di politici (a partire da Macron), di manager e attivisti, ha visto coinvolti anche parecchi giornalisti invisi al potere di turno. Ce n'è abbastanza per augurarsi che la Ue non si limiti a sfornare l'ennesimo documento, da affidare alla "buona volontà" dei singoli governi, ma indichi misure effettive da adottare in tutta Europa. Anche questo è "rule of law".
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