In questi giorni ho potuto mettere a confronto due presbìteri di grande popolarità digitale nei rispettivi Paesi mentre parlano, in altrettanti video, dello stesso tema, cioè il discernimento vocazionale. Uno è lo statunitense Mike Schmitz, 50 anni a dicembre, che con due podcast di lettura completa della Bibbia e del Catechismo nell’arco di un anno e, alle spalle, il sostegno di Ascension Presents ( shorturl.at/goCb4 ), un grande editore specializzato in prodotti religiosi digitali, è diventato molto noto nel suo Paese. Il video in questione ( shorturl.at/02hZL ) è uscito da pochi giorni e ha già raccolto oltre 27mila visualizzazioni: dati “normali” per questo autore e per questo canale YouTube, che ha appena festeggiato un milione di iscritti. Si intitola perentoriamente “L’errore n.1 che le persone fanno nel discernere la propria vocazione” e dura poco meno di otto minuti. Un tempo più che sufficiente per illustrare una tesi assertiva, che l’autore dichiara ripetutamente: bisogna discernere una vocazione per volta. L’affermazione viene fatta affermando, per contrasto, che si sbaglia quando si assumono comportamenti oscillanti tra l’orientamento verso il matrimonio oppure l’opzione per il sacerdozio e/o la vita religiosa. Solo imboccando con decisione una delle due strade – dice dunque Schmitz – si potrà capire, sempre restando in ascolto della volontà di Dio, se essa è quella giusta oppure no.
La Parola o i like?
L’altro autore è l’italiano don Alberto Ravagnani. Ha 31 anni e la sua popolarità digitale nasce, come per molti altri evangelizzatori via social, durante il lockdown imposto dal Covid. Il 4 novembre è stato ospite, insieme al confratello biblista don Franco Manzi, del primo incontro del ciclo a sfondo vocazionale “Con tutto il nostro umano. What was I made for?”, nel corso del quale quattro coppie di sacerdoti rispondono alle domande di un pubblico giovane presente presso la sede, il Centro Culturale di Milano, ma anche in streaming. Organizza il tutto l’associazione Kairos; “Avvenire” ( shorturl.at/IrFOW ) ha già presentato in dettaglio l’iniziativa. Sul canale YouTube del Centro si può rivedere il video ( shorturl.at/RiaZT ), che porta un titolo accattivante: “Bibbia vs social: la Parola e il like”, con allusione evidente alla due “vocazioni” – gli studi biblici e l’apostolato digitale – che i sacerdoti presenti hanno scelto all’interno della comune vocazione presbiterale. Oltre 3mila le visualizzazioni, finora. Interpellato dalle domande del moderatore Stefano Castellini e del pubblico, don Ravagnani (come pure don Manzi, in verità: ma qui è sul primo che intendo concentrarmi) racconta con generosità le propria storia. Si capisce che è abituato al microfono e alla videocamera, ma, contrariamente al prete americano, si attiene a un approccio esperienziale, nel quale l’episodio decisivo – quello della scelta di entrare in seminario – si caratterizza per un’oscillazione che ricorda da vicino quella che Schmitz suggeriva di evitare.
Due profili sacerdotali, due linguaggi
Sono consapevole che il confronto tra i due video non è alla pari: da un lato una sorta di catechesi, dall’altro un piccolo talk-show (genere che dagli studi televisivi è ampiamente dilagato ovunque si voglia fare divulgazione o formazione senza allestire una “conferenza”). Ma credo che ugualmente si possa sottolineare la diversità dei due stili di comunicazione, specie considerando che il target non è quello del “giovane” genericamente inteso, estraneo al Vangelo e al quale attraverso i canali digitali si immagina di portare un primo annuncio, ma è un giovane che intende illuminare con la fede una scelta di vita. Schmitz, abituato forse a confrontarsi con gli aggressivi telepredicatori americani, va dritto al nocciolo: ha una regola da trasmettere, concreta, pratica. La credibilità guadagnata a suon di like diventa l’autorevolezza di chi, anche davanti a uno snodo esistenziale così delicato, sente di poterti dire: si fa così. Il “segreto” comunicativo di Ravagnani – lo dice lui stesso – è aver saputo trasporre nel digitale le modalità tipiche del rapporto “caldo”, fatto di ascolto, che i giovani preti italiani sanno instaurare con i ragazzi dei loro oratori. Così, in questa occasione, rende una testimonianza nella quale chi ascolta potrebbe anche identificarsi. Mi pare di scorgere, in filigrana, i differenti percorsi che questi due preti hanno scelto a partire dalla comune “vocazione” digitale: figura di punta di un’impresa editoriale, l’uno; paziente aggregatore di una community che ha chiamato “Fraternità”, l’altro.
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