L'ultimo rapporto del Censis ci parla di un Paese sfiduciato, incattivito, egoista; potremmo dire che emerge il quadro di un Paese in cui si respira aria di malumore.
Sul piano psicologico, l'umore è la colorazione di fondo che accompagna le nostre giornate e ci rende più o meno piacevole affrontarle. Quando prevale l'umore cattivo (il malumore), esso si frappone come un velo sgradevole tra noi e la nostra esperienza; è come un fastidioso rumore di fondo che altera la percezione e ci rende irritabili, scostanti e pronti al conflitto. La parola "umore" ha trovato la sua prima applicazione nella medicina ippocratica, secondo la quale la salute del corpo dipende dall'equilibrio tra i diversi liquidi che lo governano: nel linguaggio, dunque, si rivela una continuità di significato tra l'esperienza del corpo e quella della psiche, che ci guida a leggere il mal-umore come una situazione di disequilibrio.
Un malumore così diffuso e cronico come quello che oggi respiriamo ci interroga dunque su quale sia il disequilibrio cronico che ci troviamo a vivere. La risposta non è univoca, e diverse credo siano le radici di questo disequilibrio; ma qui voglio metterne in evidenza una in particolare: la continua discrepanza tra ciò che ci viene promesso e ciò che riusciamo nella realtà ad ottenere. Ci troviamo in un mondo che ci promette fin da bambini iperboliche soddisfazioni: soddisfazioni incredibili dei sensi (con esperienze di piacere insospettate e travolgenti), soddisfazioni incredibili nella vita sentimentale (che ci farà conoscere un amore capace di saturare ogni desiderio), soddisfazioni nella vita sociale (con una visibilità altamente gratificante e alla portata di ciascuno). E ci viene detto, fin da bambini, che siamo speciali: dunque, ci meritiamo la fortuna che ci è promessa.
Tutto induce in noi un atteggiamento di credito. Siamo in credito perenne verso la vita: chi è nato in ambiente fortunato pretende la giusta risposta al suo essere "speciale"; chi in ambiente sfortunato pretende un risarcimento che lo faccia partecipare al grande banchetto promesso. Con queste premesse, la vita non può che risultare deludente: la vita con le sue fatiche, le sue ombre, il suo bisogno di pazienza e attesa ci risulta del tutto insoddisfacente e non siamo in grado di apprezzare le gioie reali che ci regala continuamente. Siamo in perenne attesa della cosa "speciale", stra-ordinaria, super-eccitante, super-soddisfacente. Siamo in attesa di una auto-realizzazione che non sappiamo bene cosa sia.
Ecco allora il malumore che consegue a tutte le piccole e grandi contrarietà che ogni giornata ci presenta: il traffico, il vicino scostante, la moglie (il marito) che invecchia, la salute che vacilla, le mille incombenze noiose della quotidianità. Dov'è, per noi (per me, per te) quell'amore speciale e travolgente, dov'è quella sensazione "che non hai mai provato prima", quel successo che ti cambierà la vita e che sembra debba trovarsi a portata di mano? Perché tutto questo sembra così vicino, ma riguarda sempre qualcun altro?
È come se venissimo continuamente preparati per qualcosa che non accade mai: caricati di aspettative su noi stessi e sul mondo, ma inutilmente. La vita trascorre come una promessa che non si realizza, lasciandoci perennemente insoddisfatti perché lontani dalla nostra vera natura: dai nostri sensi, non più capaci di vibrare in ogni esperienza; dall'oggi, perché aspettiamo sempre un ipotetico domani; dalla capacità concreta di generare vita e progetti, perché non siamo certi che saranno speciali come li vorremmo.
A queste condizioni la vita implode provocando stagnazione, e con essa una cronica sensazione di mal-umore: la vita che ristagna provoca infatti un malessere che è insieme della mente e del corpo, che sono così inscindibilmente connessi nella natura dell'uomo.
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