Questa è una tipica storia digitale. Il titolo del video non lascia spazio a equivoci: «YouTube potrebbe chiudere». Lo firma Favij, cioè di una delle star italiane più popolari sulla piattaforma video di Google (lo seguono 5 milioni di persone). Voi probabilmente non sapete chi sia, ma non c'è adolescente che non lo conosca. E per molti di loro questa è una notizia da prima pagina e lui una voce autorevole. Tant'è vero che il suo video appello, apparso il 20 novembre, è già stato visto da quasi 650mila persone. «Non è uno scherzo e non ho per niente esagerato» precisa Favij nel filmato. Racconta che quelli di YouTube l'hanno invitato a pranzo e gli hanno spiegato «che davvero potrebbe finire così». Almeno in Europa.
Insomma, «la cosa è seria». Tant'è vero che esiste anche un video ufficiale della campagna «salva YouTube», uno slogan («Immagina se non potessi guardare i video che ami») e un hashtag #saveyourinternet, «salva il tuo internet».
Favij è solo l'ultimo di una serie di YouTuber che Google ha messo in campo per spingere i giovani contro il regolamento dell'Unione europea in materia di trattamento dei dati personali e di privacy. Online c'è anche una petizione che ha raccolto quasi 3 milioni di firme. Il testo della petizione però ormai è datato. E persino il sicuro Faviji nella descrizione testuale del suo video è molto meno sicuro che nel filmato: «Essendo un argomento delicato non garantisco che ogni mia singola parola sia da seguire, potrei aver sbagliato qualche dettaglio, quindi rimaniamo easy».
A noi però resta una domanda: davvero YouTube potrebbe chiudere? A dare retta alle molte voci messe in campo da Google «sì, potrebbe chiudere». E per questo motivo: se venisse approvato, l'articolo 13 della legge sul Copyright passerebbe a servizi come YouTube la responsabilità dei copyright dei contenuti caricati sulle piattaforme. Con l'ovvio rischio di dover rimuovere i tanti contenuti illegali, pagare multe salate (per le molte violazioni) e dover retribuire i proprietari dei copyright in maniera adeguata.
Insomma, quella messa in atto da YouTube sarebbe una battaglia molto interessata. Per di più, secondo la Commissione europea, compiuta a colpi di «disinformazione». «Il Gdpr (General Data Protection Regulation, il regolamento dell'Unione europea in materia di trattamento dei dati personali e di privacy), non cambierà YouTube, ma cercherà di garantire maggiori introiti agli artisti che vi caricano il proprio materiale». La risposta alla campagna di YouTube arriva via Instagram, il social più frequentato dai giovani. «Al momento, la maggior parte del valore aggiunto rimane alle piattaforme. Dobbiamo colmare questo divario e garantire una migliore remunerazione per i creatori».
Secondo i dati raccolti dall'associazione dei discografici mondiali IFPI, nel Global Music Report del 2018, «negli ultimi tre anni i contenuti creativi in rete hanno registrato un aumento enorme. E solo nell'ultimo anno i ricavi sono cresciuti dell'8,1%, per un giro d'affari che è arrivato a 17,3 miliardi di dollari». Non solo «Nel 2017 i creatori di contenuti e gli artisti hanno ricevuto solo 65 centesimi per utente all'anno in royalties».
Alt. Ma se la Commissione europea «vuole rafforzare l'influenza e la posizione di autori e artisti, inclusi gli YouTubers, e dare loro una voce più forte e contratti più trasparenti» perché Favij e soci si sono schierati contro? Perché senza YouTube non esisterebbero. E se la piattaforma penalizzasse (o spegnesse) i loro contenuti, avrebbero seri problemi di visibilità e di incassi. A dare retta ai conti della Ifpi, una star come Favij toccherebbe qualche milione di euro l'anno. Altro che «easy», qui la parola d'ordine (per tutti) è un'altra: «money».
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