Addentrarsi nell'universo compositivo di Maurice Duruflé (1902-1986) significa entrare in contatto con un percorso creativo ed esistenziale in cui arte e fede, musica e liturgia si sono intrecciate in modo radicale e profondo. Realizzando l'incisione delle maggiori opere corali del maestro francese, il direttore Bill Ives " alla guida del Coro del Magdalen College di Oxford " si è imbattuto in alcune tra le pagine sacre più rappresentative dell'intero Novecento: a partire dal celebre Requiem op. 9 (scritto nel 1947 e poi rielaborato nel 1948 e nel 1961) per arrivare ai Quatre Motets sur des themes grégorien op. 10 (1960) e alla Messe "Cum jubilo" op. 11, risalente al 1966 (Super Audio Cd pubblicato da Harmonia Mundi e distribuito da Ducale).
Piccoli e grandi capolavori in cui il linguaggio musicale del secolo scorso si è indissolubilmente intrecciato con il patrimonio culturale e religioso d'epoca medievale, e in particolare con l'austera ascendenza spirituale del canto gregoriano. L'antico repertorio monodico è stato infatti utilizzato da Duruflé come imprescindibile sostegno ritmico e melodico sopra cui innestare le moderne istanze della sua originale concezione estetica: nella dolcezza suadente e malinconica, nell'intreccio polifonico e nelle tenui dissonanze dei Quattro mottetti "a cappella" come nell'immediatezza espressiva e nei colori sfumati della Messe "Cum jubilo" (affidata a un coro di soli baritoni accompagnato dell'organo); ma soprattutto nell'andamento solenne e nell'ampio respiro dell'eloquio strumentale della splendida Messe des morts, opera in cui il compositore francese ha deliberatamente tralasciato di musicare l'intera sezione del Dies irae (con la sola eccezione del Pie Jesu), lasciando in chiusura la pacificante antifona In Paradisum. Perché nell'intima visione di Duruflé, il Requiem «non rappresenta un etereo peana per il distacco dagli affetti terreni ma, nella sua immutabile forma di preghiera cristiana, riflette i dissidi interiori dell'uomo di fronte al mistero ultimo della vita e della morte», attraverso una musica che, rispecchiando le parole liturgiche delle Sacre Scritture, è nel contempo «carica di pathos e colma di un senso di serena rassegnazione, ma anche piena di fiduciosa speranza"».
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