Il trasferimento sulla Rete di tanta parte dell'informazione religiosa non ha certo modificato un fenomeno che è abbastanza facile da spiegare, e cioè il fatto che la Chiesa faccia notizia, in senso negativo, quando qualche sua figura o istituzione è coinvolta in vicende opache in tema di comportamenti sessuali o di attività finanziarie. Su entrambi i versanti è infatti in gioco la sua credibilità, ovvero, dal punto di vista del fedele, la sua testimonianza. Relativamente all'ambito finanziario, non v'è dubbio che il nome più evocativo che l'opinione pubblica riconosce sia quello dello Ior, l'Istituto per le opere di religione: così che anche oggi “basta la parola”, Ior, per richiamare una preoccupata attenzione, anche se la notizia del momento va in altra direzione. Ad esempio l'ultima, diffusa qualche giorno fa, tra gli altri, da Andrea Gagliarducci su Acistampa ( tinyurl.com/y9j422pq ) e che aveva come fonte il sito stesso dell'Istituto ( tinyurl.com/yck5d2t6 ), racconta il rinvio a giudizio, da parte del Tribunale vaticano, dell'ex presidente Caloia per i reati di peculato e antiriciclaggio: dunque una notizia che di per sé conferma, come si legge nel comunicato dello stesso Ior, «l'impegno profuso negli ultimi quattro anni (...) per attuare una governance forte e trasparente».
Ma guardiamo l'immagine che più di frequente si associa allo Ior: mi riferisco alla sua sede entro la Città del Vaticano, il Torrione Niccolò V, addossato al Palazzo apostolico. Anche senza averlo mai visto dal vivo né tantomeno averlo visitato, la sola riproduzione fotografica di questo antico edificio evoca l'impenetrabilità piuttosto che la trasparenza. A maggior ragione quando è ripreso con il grandangolo, che ne distorce le proporzioni conferendogli un aspetto ancora più imponente e insieme ancor meno amichevole. Se c'è, per le ragioni storiche a tutti note, un pregiudizio negativo che accompagna lo Ior presso l'opinione pubblica, non credo si possa dubitare di quanto tale immagine contribuisca a rafforzarlo.
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