Ormai quella di rincorrere le persone, il più delle volte i politici, è diventata, insieme al suonare i campanelli e bussare alle porte, una prassi del giornalismo televisivo d'assalto. Un tempo, avendo in mente le scarpe di cuoio, si diceva che per essere buoni cronisti si devono consumare le suole. Adesso, al posto del cuoio è meglio avere la gomma: si consuma meno e non si scivola in caso di inseguimento. Ne sa qualcosa anche Daniele Piervincenzi, che ci sta portando, con le sue inchieste, alla scoperta dell'Italia della malavita in un viaggio da Nord a Sud, dal titolo Mappe criminali, in onda il martedì in seconda serata su Tv8. Prima tappa il "laboratorio criminale" di Roma. Poi, martedì scorso, la discesa lungo la penisola fino a Castelvetrano per ripercorrere la storia di Matteo Messina Denaro, la primula rossa della Mafia, latitante dal 1993, quando la Procura di Palermo emise un mandato di arresto per associazione mafiosa e diversi omicidi. Un itinerario nella Sicilia Occidentale, da Trapani a Sciacca, dove le vicende legate al superboss vengono ricostruite tramite la figura di Antonino ("Antonello") Nicosia, assistente parlamentare, recentemente condannato a oltre 16 anni per associazione di stampo mafioso per essersi messo a disposizione della famiglia Messina Denaro, per averne favorito gli interessi e addirittura per aver portato le loro istanze in Parlamento attraverso una campagna a favore dei detenuti. Quella di Nicosia è dunque una storia di maschere di pirandelliana memoria, ma anche la storia di uno spettro (Matteo Messina Denaro) che lascia dietro di sé scie di sangue. Sarà anche per questo che Piervincenzi assume spesso l'espressione un po' truce del giustiziere, in un racconto giornalistico che si concede molto alla messa in scena, con tanto di finale dal Cretto di Gibellina realizzato da Alberto Burri a memoria del devastante terremoto del Belice.
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