domenica 10 agosto 2014
«Il visibile non è che il riflesso dell'invisibile». È una massima centrale nello Zohar, Libro dello splendore, considerato una summa della sapienza cabalistica. Affermazione apparentemente paradossale, profondamente vera: noi conosciamo il mondo visibile, natura, città, volti, persone. Ciò che noi vediamo e percepiamo non esisterebbe se non fosse recepito dalla nostra mente, il regno dell'invisibile. Ma non solo: una gran parte delle nostre azioni quotidiane è dettata da ragioni appartenenti alla sfera dell'invisibile, certo dell'incorporeo: l'innamoramento non obbedisce solo all'immagine di una persona. Che può piacere ed essere giudicata bellissima, ma innamorarsi è un'altra cosa. Così simpatia e antipatia, sentimenti che non si provano in base a motivi riguardanti la sfera di ciò che i sensi vedono. La meraviglia: noi contempliamo un tramonto sul mare, un volo di gabbiani, una scena del Cielo sopra Berlino di Wenders, o della Dolce vita di Fellini: ciò che ci emoziona è l'immagine, quello che vediamo. Ma è invisibile la comunicazione tra quel tramonto, o quella scena nella fontana romana con Marcello, e quanto accade dentro di noi. Il visibile è il riflesso dell'invisibile, e queste due parti del mondo non sono separabili. Per questo possiamo vedere in sogno, a occhi chiusi, e a lume spento.
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