Le donne, gli artisti
Ho poca paura delle signore o dei giovani inesperti come dei veri artisti. Ciò che mi spaventa, invece, è l'assennatezza dei vecchi; ciò che mi spaventa sono gli uomini con piccole ambizioni e piccole idee…
«Ho poca paura delle signore o dei giovani inesperti come dei veri artisti. Ciò che mi spaventa, invece, è l'assennatezza dei vecchi; ciò che mi spaventa sono gli uomini con piccole ambizioni e piccole idee…». Siamo nel 1879, età di passaggio tra Otto e Novecento. Il grande drammaturgo norvegese Henrik Ibsen, durante una riunione del Circolo Scandinavo, improvvisa un acceso discorso a proposito di due questioni all'ordine del giorno: se si potesse attribuire il posto pagato di bibliotecario anche alle donne, e se queste potessero votare nell'assemblea dei soci. A differenza di tanti meritevoli sostenitori della causa, lo scrittore non cerca di dimostrare la parità della donna con argomentazioni logiche: la dà per scontata, e esordisce, con la retorica del drammaturgo, premettendo che nessuno dei soci sarà così stupido e ignorante da dubitare della parità di anima, coscienza e mente tra uomo e donna. Ma accetta un'affermazione diffusa, un luogo comune non offensivo nelle intenzioni ma
riduttivo di fatto: la donna è più impulsiva, più cedevole al sentimento. «Vero - afferma Ibsen - e queste sono virtù: quindi mi fido più delle donne, come dei giovani, come dei veri artisti. Queste tre categorie di persone sono più vicine alla natura dell'uomo, più generose. Mi fido di loro».
riduttivo di fatto: la donna è più impulsiva, più cedevole al sentimento. «Vero - afferma Ibsen - e queste sono virtù: quindi mi fido più delle donne, come dei giovani, come dei veri artisti. Queste tre categorie di persone sono più vicine alla natura dell'uomo, più generose. Mi fido di loro».
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