Non è un libro di erudizione Le pietre e la luce, di Marco Meschini (Sellerio, pp. 160, euro 12), che spiega il significato culturale della cattedrale del Medioevo: non è uno scavo nel particolare come il pur sublime e celeberrimo Pietre che cantano, in cui Marius Schneider ha spiegato che attribuendo note musicali della tradizione hindu alle ricorrenze figurative nei capitelli dei chiostri romanici di San Cugat, di Gerona e di Ripoll in Catalogna, ne risulta la partitura degli inni gregoriani ai santi patroni dei tre conventi; il tentativo, riuscito, di Meschini è quello di offrire un'interpretazione complessiva del fenomeno «cattedrale» che segna un vertice assoluto, certamente il più qualificante, della cultura d'Occidente. Per dirlo con le parole dell'autore, l'obiettivo è «perseguire una visione olistica, cioè onnicomprensiva, di ciò che nel suo complesso è il "fenomeno arte e architettura"». Guidato dallo stile felicemente narrativo di Meschini, il lettore è invitato a scoprire la genesi e la struttura della «madre di tutte le chiese e di tutte le cattedrali», cioè San Giovanni in Laterano; a rivivere il complesso cerimoniale dell'intronizzazione del Papa (e il prescelto è proprio Bonifacio VIII); ad abbeverarsi allo splendore bizantino di Santa Sofia, e via via, attraverso 19 capitoli, a conoscere aspetti specifici (come la tecnica della lavorazione delle vetrate) e simbolici del fenomeno «cattedrale». Particolarmente acuta la trattazione del passaggio dal romanico al gotico, che Meschini interpreta come il salto qualitativo da una visione bidimensionale della realtà (il romanico) a una visione tridimensionale, cioè di vera organizzazione dello spazio, tipica degli architetti gotici, a cominciare da quelli chiamati dall'abate Sugiero per la chiesa di Saint-Denis, nel 1135, prototipo delle cattedrali gotiche che si diramarono in tutta Europa, in dotta emulazione e mai come piatta imitazione. Tale rivoluzione architettonica è omologa alla rivoluzione logica che i grandi filosofi e teologi compirono in quegli stessi anni, e Meschini riconosce allo "scandaloso" Abelardo tutto il merito che gli è dovuto: «Ciò che non basta più ad Abelardo è che la coerenza del pensiero sia limitata a un solo problema o al massimo a un gruppo di problemi; la sua pretesa dirompente è che la ragione umana
sia coerente in ogni àmbito, e cioè che i presupposti di verità che fanno vera un'affermazione siano ancora tali in tutt'altro contesto e su tutt'altro argomento». Ed è questa metodologia "globale" che gli architetti gotici tradurranno in meravigliosi edifici: «La cattedrale è così una specie di Gerusalemme terrena che rende presente la Gerusalemme celeste, ne è l'archetipo e insieme la presenza reale». Il mistero ultimo della cattedrale gotica è essere e ordine, luce e proporzione: «Nella cattedrale la luce è il "principio attivo" della materia, la "forma" della materia stessa. Le pareti, gradualmente, sono sostituite dalle vetrate, ma non tanto per guadagnare visibilità, bensì perché la luce è l'elemento che qualifica la cattedrale stessa. Le pareti di pietra si contraggono, scompaiono, lasciano il posto a un trionfo di vetrate, di colore e di luce, perché devono manifestare lo splendore originario di Dio». Meschini predilige questa interpretazione «cristiana», rispetto a quella «pagana» di Oswald Spengler che vede nella cattedrale il simbolo pietrificato della foresta druidica; suggestione, quest'ultima, alla quale mi è personalmente difficile resistere. Ma forse siamo, ancora una volta, in presenza della forza magnetica del cristianesimo che riesce ad assimilare ogni altra espressione culturale. Alla «Musica della cattedrale» Antonio Chemotti dedica il capitolo conclusivo di questo bel libro, introdotto da una Nota di Sergio Valzania.
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