martedì 25 agosto 2020
In coda al semaforo, l'occhio cade su un'insegna. Salsamentario. A volte le parole ti saltano addosso, e non le puoi evitare. Chi fa il mio mestiere poi ha solo quelle da offrire, per questo le ho sempre considerate una cosa seria. Se i gesti sono tutto, le parole sono comunque tanto. Se le sottovaluti, si offendono e ti si rivoltano come una vipera: devi cercarle, curarle, capirle. Uno studio recente ha calcolato che in media gli uomini ne usano settemila al giorno, le donne ventimila. Ecco, evitiamo facili ironie sessiste: chi ha più verbi e aggettivi da usare, sta senz'altro meglio di chi ne ha meno. E comunque il vocabolario resta il libro più interessante che sia mai stato scritto. Perché le parole, prima che un significato, hanno un peso, un odore, un sapore, un suono e un fascino tutto loro. Pensate a organza, sicofante, frusto: dovrebbe essere un diritto circondarsi di belle parole. Ma bisogna andarci piano, perché devi assomigliarle. E poi arriva il momento in cui bisogna dimostrarle. Sono promesse, specie se restano scritte: servono a raccontare. Dovremmo imparare dai giapponesi, che trasformano in parole singole anche le immagini e gli stati d'animo. Per esempio, komorebi: significa la luce che filtra attraverso la chioma degli alberi. Non sarà un vocabolo indispensabile, ma è bello sapere che esiste.
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