In vista della fine dell'anno ho ripercorso le vicende digital-ecclesiali raccontate qui su "Avvenire" lungo tutto il 2018; merito del programma di Radio inBlu "TG e non solo", dove Francesca Lozito mi ha ospitato la vigilia di Natale chiedendomi uno specifico esame di coscienza. Stiamo parlando di circa 150 storie: impossibile (e francamente inutile) farne una vera e propria sintesi. Tuttavia dirò che, ripercorrendole, mi sono saltate all'occhio soprattutto le avventure "liturgiche": come se la celeberrima affermazione del Concilio a proposito della liturgia «fonte» e «culmine» della vita della Chiesa avesse un suo riverbero anche nella Chiesa che si vede attraverso la Rete.
Non solo si sono richiamate ai tempi liturgici e alle forme della preghiera popolare molte delle strumentalizzazioni che la politica, in questo anno, ha applicato alla fede, e che blogger e influencer hanno tanto animatamente discusso. Anche in diversi altri percorsi di navigazione c'era una colorazione rituale. Ad esempio, propagandavano gli oggetti della liturgia le inserzioni che, individuandomi su Facebook come potenziale acquirente, mi hanno invitato a sorridere della fallibilità degli algoritmi. Erano distorsioni del sacro i tanti video, che ho scoperto, di cani addestrati a «pregare» prima dei pasti.
Ma soprattutto sono risultati numerosi, lungo l'anno, coloro che, avendo notato durante una celebrazione qualche parola o gesto inusuale, lo hanno ripreso con il proprio smartphone e subito condiviso con il vasto pubblico degli utenti digitali, ottenendo per quelle immagini una vasta popolarità, anche se non sempre accompagnata da consensi nei confronti dei protagonisti. I quali - sacerdoti e fedeli, questi ultimi spesso al centro dei video in quanto nubendi, battezzandi, comunicandi o cresimandi - dovranno farsene una ragione: difficile infatti pretendere che l'aula liturgica venga bonificata dai cellulari senza alienarsi i loro solerti utilizzatori, che siamo tutti noi.
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