Rentocchini (Sassuolo 1949), aveva raccolto in Lingua madre (Incontri, 2016) le 256 ottave pubblicate in diversi libri nel trentennio 1994-2014, e adesso aggiunge 44 Ottave (Book Editore, pagine 80, euro 12,00) così si arriva alla cifra tonda di 300. Assicura che queste 44 saranno le ultime, ma non ci credo: l'ottava, per Rentocchini, è un gorgo che risucchia anche dopo che ci si riteneva in salvo. Si tenga presente che le ottave originali sono in sassuolese, con traduzione italiana, sempre in ottava, nella stessa pagina, per cui, in realtà, le ottave sono seicento (l'Orlando furioso è di 46 canti in ottave per un totale di 38.736 versi). Conosco solo un altro poeta in ottave che rivaleggia con Rentocchini: Carlo Alessandro Landini, che in Stanze (Fara) ha riunito 432 ottave, ma ne ha scritte quasi il doppio (Patrizia Valduga, la vestale che ha fatto riscoprire ai poeti italiani la libertà della versificazione chiusa, vola alto per conto suo). Le ottave di Rentocchini sono propriamente ariostesche, quelle di Landini lambiscono l'Adone del Cavalier Marino (5.123 ottave) che già prelude al Settecento: più lievi, ispirate, landinianamente, anche a testi altrui. In un triplice scambio di ampie e-mail con Maria Cristina Cabani, che fa da introduzione alle 44 Ottave, Rentocchini spiega le ragioni e il senso del suo scrivere: «Sono e mi sento un lirico. E, per certi versi, le ottave possono essere assimilate a monadi. Ma ho sempre sperato in un mutuo spontaneo misterioso travaso, tra di esse, in grado di creare o ricreare un universo umano e intellettuale». E anche: «Penso che le mie ottave vadano lette, in silenzio. Ne basta una ogni tanto, 4 o 5 alla volta cominciano a essere parecchie». Questo è un criterio da tenere a mente per la lettura di ogni libro di poesie. E prosegue: «Ed ecco l'ennesimo sdoppiamento, il più tragico: mi presto volentieri a leggere pubblicamente in dialetto perché so che dopo di me basta. Eppure, me ne importa fino a un certo punto. Dato che l'utopia è immaginare gente che non conosco piegata su un libro a compitare faticosamente la mia lingua che non conosce». Nulla è più autorevole e proprio di un autocommento d'autore (Umberto Saba confusamente docet). Quello che c'è da dire sulle Ottave di Rentocchini lo dice lui stesso, e gli siamo grati anche di questo. La post-illa di Alberto Bertoni non aggiunge né toglie nulla al valore del libro, come il trattino tra post e illa non aggiunge né toglie nulla al tenore della postilla. Ma leggiamo, finalmente, un'ottava in italiano, la prima delle 44: «Quel filo d'olio d'oro, biondo, lungo l'imbuto / che si travasa muto e immoto dà / il senso dell'ignoto, l'incanto uguale dell'eterno. / In 'sto sistema di carne che non si sa, / da qualche parte, ci sarà la luce di un anello / sorgivo, l'acqua di un rio che va e che sta: / e se sarà così e sempre così sia stato / per ogni dove carne senza peccato».
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