Le “12 sorelle” è il club dei ludopatici non anonimi
domenica 25 aprile 2021
«Si sa che la gente dà buoni consigli, sentendosi come Gesù nel tempio...». Questa volta Fabrizio De Andrè sembra rivolgersi ai 12 apostoli, anzi agli apostati, guidati da Florentino Perez e Andrea Agnelli che hanno tentato il “golpe” al Palazzo del calcio europeo. Pardon, mondiale. Ma sono stati respinti, con perdite, miliardarie, dicono. L'impressione sorprendente, è che il club dei 12 sia guidato da dirigenti ludopatici che vogliono continuare a giocare al casinò, ma il loro problema è che sono rimasti senza fiches e continuano a battere alla cassa, con la speranza o l'illusione, che cambiando gioco e tavolo potrebbero rifarsi di tutto il denaro perduto, che è tanto, troppo. Il gran rumore per quasi nulla della Superlega europea ci ha insegnato due cose molto importanti. La prima, è che l'Europa politica sempre molto disunita e per certi versi astratta in quasi tutti i campi, riesce invece a coalizzarsi quando di mezzo ci sono quelli di calcio. Persino la Gran Bretagna dei fuoriusciti – vedi Brexit – è rientrata in gioco e ha schierato come regista occulto il premier Boris Johnson, autore del gol della vittoria a favore della non certo innocentissima Uefa. La seconda cosa appresa, è che i calciatori e gli allenatori, ma persino dirigenti di primo piano, come Paolino Maldini (Milan), sono l'anello debole della catena di montaggio dell'industria calcio, ormai manipolata da multinazionali e fondi di investimento che avanzano con trame oscure da ogni parte del globo. E per questi pirati della finanza l'unico risultato che conta è il profitto, da devoti di san business. «Ho saputo che era nata la Super League da un comunicato stampa», ha detto un candido Pep Guardiola (Manchester City) che ha garantito che tutti i suoi colleghi mister dei 6 club inglesi «fondatori» erano completamente ignari della maxiscalata delle 12 grandi sorelle. La cosa è passata quasi in sordina, ma invece il vero male del gigantismo calcistico comincia da qui. Dalle guerre sotterranee che le varie lobby studiano, per anni, in conventicole al riparo dagli occhi del pubblico pagante degli stadi, sempre più ininfluente ai fini del risultato finale. I tifosi inglesi sono stati i primi e gli unici a scendere in piazza e protestare in difesa della tradizione e per un calcio che è patrimonio prima di tutto del popolo degli stadi, specie appena questi riapriranno. Milanisti, interisti e juventini hanno rumoreggiato via social – occhio: gli ultimi umoristi della scuola Flaiano-Marchesi sono finiti nella Rete – , ma il dibattito qui da noi, come al solito, è stato gestito dai finti moralisti che si proclamano “disinteressati”. «Fanno solo i loro interessi», ha cantato Urbano Cairo dal balcone di casa, il Corriere della Sera ai tre club traditori della patria. A memoria di cuoio però, non ricordiamo presidenti di calcio (specie di Serie A) filantropi, nè figurine di santi né eroi. «Sì sa che la gente dà buoni consigli, se non può più dare cattivo esempio…», come è vero Faber.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI