Per dire che sono “religiosi”, cioè che hanno una religione, gli uomini devono occuparsi dei loro morti. Dalla notte dei tempi l’essere umano è tale perché si occupa di seppellire i propri cari. Quando si studia la storia delle religioni, questo aspetto è chiarissimo. Lo diventa ancor di più quando si leggono i grandi classici della letteratura antica. Che dire della protagonista della tragedia di Sofocle, cioè Antigone che fu imprigionata dal nuovo re di Tebe perché decise, contro la volontà stessa del re, Creonte, di dare degna sepoltura al fratello Polinice? Ecco, quella è la cifra dell’umanità vera: seppellire i morti con dignità, a costo della propria libertà.
Ora, al tempo del Covid-19, sono solo gli intimi dei defunti che assistono all’ultimo addio. È straziante pensare che la sepoltura – segno sicuro della presenza di umani – non possa avere tutta l’importanza che merita in tempi normali. È una vera propria prova pensare che i cari muoiano da soli, in un letto di ospedale, e non possano vedere o rivedere le persone amate che piangono senza nemmeno la consolazione di vederli partire. È una prova che rimarrà scritta nei libri di storia. Consola molto il Vangelo di questa domenica, il cosiddetto Vangelo della risurrezione di Lazzaro (Gv 1,1-45). Cristo, è lontano al momento della morte dell’amico; quando arriva, Lazzaro è già nel sepolcro da quattro giorni. Gli viene anche rimproverato il suo ritardo, forse Marta e Maria le sorelle dell’amico ci speravano, o speravano in un miracolo. E di fatto, Cristo il miracolo lo fa, perché risuscita Lazzaro.
Consola questo vangelo perché due sono state le sepolture per questo compagno. È quanto mai riconfortante sapere che la sepoltura avvenuta nello strazio, senza l’amico divino, ha fatto sì che Gesù arrivasse per ridare vita al suo corpo. È incoraggiante pensare che Lazzaro abbia avuto diritto a due esequie nella propria vita. Quella nell’assenza di Gesù e quella alla fine della sua vita, chissà magari dopo la morte e risurrezione stesse di Cristo. È un balsamo sapere che è Gesù stesso che si occupa del corpo, della salma dell’amico, e si preoccupa anche delle sorelle di Lazzaro. Insomma, Cristo non ci lascia soli, anzi non ci lascia proprio soli nel momento della prova della morte: di colui o colei che è in fin di vita e di coloro che assistono nel pianto alla dipartita.
Non dimentichiamoci quanto Gesù afferma in questo vangelo: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Anche i decessi, le sepolture sommarie, e il lutto a distanza non possono se non essere per la Gloria di Dio. È un mistero, magari anche un poco duro da intuire, ma questa situazione non può non essere se non per la Gloria di Dio. È Cristo che l’ha vissuta prima ancora che noi stessi potessimo immaginarla, e adesso, purtroppo viverla. Cristo è Colui che ci accompagna, sempre.