domenica 17 novembre 2019
Il ricordo è nitido, anche se è passato tanto tempo: quel dannato coso che avevo messo al mondo strillava e scalciava e chissà cosa diavolo aveva. Distrutta dalla deprivazione di sonno sollevo il coso e gli do un bello scrollone. La zia adorata – non c'è più –, la nonna che avevo reso bis accorrono a strapparmi il coso dalle mani: «Vai a farti un giro. Vai dal parrucchiere, vai a vedere due vetrine. Levati di torno». Sono sicura che mi sarei fermata in tempo. Che non sarebbe finita in una di quelle terribili disgrazie. Ma comprendo benissimo l'angoscia della giovane amica a cui è venuto in mente di mettere il suo coso urlante in lavatrice. «Tranquilla», la rassicuro. «È normale». Quello che non è normale è che tu sia tanto sola. Giovani madri chiuse nei loro bilocali, con il passato di verdura che sobbolle e la roba da stirare. Non è normale che il bambino non appartenga al villaggio: forse giusto al pianerottolo, se hai una vicina gentile. Un'altra amica un po' più vecchia dice che il suo ideale sarebbe stata la cascina. Allora ne avrebbe fatti anche 4 o 5, di bambini, fuori a razzolare in mezzo alle galline, tante mamme, tante zie per condividerli. «Anche una semplice ringhiera», dico io. Certo, i servizi. Certo, gli orari. Il lavoro, la fatica, e tutto. Ma quando fai un bambino fai un regalo al mondo, e vorresti che il mondo ti dimostrasse la sua felicità.
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