Fare qualità è l'arma per vincere sui mercati agroalimentari, ma è un'arma che può costare cara. E non sempre lo sforzo dei produttori viene ripagato dalle scelte dei consumatori. Questione di congiuntura sfavorevole, di complicazioni lungo la strada che porta il prodotto dai campi alle tavola, fatto sta che è sempre difficile, per gli agricoltori, vedersi riconosciuti pienamente i loro meriti. A dimostrare la complessità della situazione, ci ha pensato uno studio dell'Ismea (l'Istituto di servizi per il mercato agricolo e alimentare), che ha focalizzato l'attenzione sui costi e sulla redditività delle aziende nella filiera lattiero-casearia: una delle più importanti e rappresentative dell'economia agroalimentare nazionale.
A conti fatti - dopo aver analizzato un campione rappresentativo di aziende coinvolte nella produzione di Grana Padano e Provolone Valpadana - l'istituto di ricerca non ha dubbi: Esistono «forti scompensazioni nella suddivisione dei margini, con penalizzazioni per gli operatori delle fasi a monte a vantaggio del retail», che, detto in altre parole, indica che sono proprio i produttori zootecnici a fare le spese della distribuzione del valore aggiunto dalle stalle alle tavole. Anzi di più. Perché dal dettaglio dello studio emerge - dice l'Ismea - che «i vincoli piuttosto rigidi imposti dai disciplinari di produzione gravano soprattutto sui costi degli allevatori per gli obblighi connessi in particolare all'alimentazione del bestiame», che in termini unitari (costo per capo), incide mediamente per oltre il 50% sui costi diretti degli allevamenti. Si tratta inoltre di spese fortemente variabili e poco controllabili da parte degli allevatori. Ugualmente pesanti sono i costi collegati alle spese veterinarie e a quelle energetiche.
Non è però questo il vero problema degli allevamenti impegnati nel settore lattiero-caseario. I margini di guadagno dalla vendita della materia prima (il latte), sono, infatti, ridottissimi, per non dire assenti. Se si guarda al Grana Padano, per esempio, il prezzo a cui viene ceduto il latte ai caseifici non è sufficiente alla remunerazione degli allevatori, e determina un margine negativo che incide per lo 0,3% sul prezzo al consumo. E la situazione è ancora peggiore per chi trasforma il latte. Tutto mentre il margine della distribuzione arriva al 12%. Simile la situazione per l'altro formaggio preso in considerazione - il Provolone Valpadana - per il quale il margine per gli allevatori è ancora negativo, mentre quello dei distributori arriva al 28%.
Ecco perché una delle battaglie storiche degli agricoltori - quella sul recupero dei margini di remunerazione - è ben lontana dell'essere vinta. Si tratta di una di quelle sfide che non solo vale la pena di tentare con tutti i mezzi, ma che è determinante vincere, per il futuro di un comparto molto importante per l'intera agricoltura italiana, in termini di valore della produzione e occupati.
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: