giovedì 13 febbraio 2020
Latino e Greco, bollati come inutili e conservatori. Questi due pregiudizi - il primo frutto dell'ignoranza, il secondo della cattiva ideologia - hanno portato a una progressiva rimozione degli studi classici dalla scuola e dalla società. Per difenderli e promuoverli si è insistito molto, e fondatamente, sulla loro educazione allo spirito critico e al pensiero plurale, al loro essere non solo fondativi ma anche antagonisti del nostro presente. Vorrei aggiungere che i classici sono utili e rivolti al futuro soprattutto perché le loro lingue ci permettono di capire chi siamo e come pensiamo. In particolare, al latino dobbiamo parole valoriali che hanno segnato la nostra cultura e formazione politica ed etica, quali civitas, res publica, virtus, pietas, religio, dignitas, otium, negotium. Dal canto suo la lingua greca ci ha consegnato il lessico intellettuale europeo: noi parliamo greco quando parliamo di tempo (chronos), mondo (kosmos), legge (nomos), costume (ethos), politica (polis), filosofia (logos), tecnica (téchne), interiorità (psyché), dolore (pathos), formazione (paidéia), scuola (scholé). Ora capiamo meglio la confessione dell'Adriano di Marguerite Yourcenar: «L'Impero, l'ho governato in latino, ma in greco ho pensato, in greco ho vissuto» ("Memorie di Adriano", trad. it. Torino 1984 , p. 35).
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