martedì 10 ottobre 2023
Ci siamo conosciuti dopo il suo soggiorno nella sezione femminile della prigione di Niamey mentre era incinta. Samira Sabou è giornalista e presidente dell’associazione di coloro che si esprimono pubblicamente tramite i blog. Dopo aver avuto problemi col figlio dell’allora presidente del Niger, tenuta sott’occhio dal regime precedente, sembra che pure con le attuali autorità militari del Paese le cose non vadano molto meglio. Scrive infatti un sito informativo della capitale: «Il 30 settembre 2023 è stata arrestata nel domicilio di sua madre a Niamey da diversi uomini col volto coperto che si sono presentati come membri delle forze di sicurezza. Essi, dopo aver esibito i loro documenti, hanno insistito perché Samira li seguisse nell’auto. Dopo essere stata a sua volta incappucciata, è stata condotta in un luogo sconosciuto. Da allora non ci sono tracce di lei e del luogo eventuale di detenzione. Il servizio delle inchieste criminali della polizia di Niamey afferma di non possedere nessuna informazione a proposito» (ActuNiger) Samira riportava spesso sul suo blog articoli di varia origine e natura. D’abitudine cercava di pubblicare notizie da fonti certe. Secondo il detto di alcuni, in questi giorni era stata verbalmente minacciata e attaccata sui mezzi di comunicazione informale più utilizzati in città. Difficile parlare di un tragico errore, di semplice noncuranza giuridica o di squallida messa in scena per intimidire le parole. Ci troveremmo, anche in questo caso, in ciò che ricordava Karl Marx: quando la storia si ripete è dapprima tragica e poi diventa una farsa. Sarebbe dunque un caso di attitudini speculari al regime precedente, riconosciutosi nella parola “Rinascimento” di qualcosa o qualcuno che in realtà non è mai nato. In questi ultimi anni le parole si sono gradualmente mutate in sabbia, polvere e vento che tutto ha cancellato al suo passaggio. Quanto scritto, promesso, affermato, assicurato e garantito è stato sistematicamente tradito nella menzogna delle parole. Questo è il peggior delitto che una persona possa commettere: manomettere le parole, e dunque la realtà che di esse è l’esatta misura. Per questo motivo ogni regime al potere, peggio se totalitario, nulla teme quanto le parole. Non accada che Samira, ossia la parola che ha tentato di dare un nome giusto alle cose, sia rivoluzionaria, come ricorda opportunamente Rosa Luxemburg. Portata via col viso coperto per impaurirla, sottratta dalla propria casa materna, deportata in un luogo tenuto segreto, la parola che è quanto di più serio e sacro ci sia perché le parole creano, fanno e disfanno il mondo. «Morte e vita sono in potere della lingua: chi l’ama ne mangerà i frutti», scrisse il saggio nel libro dei Proverbi. Dire la verità significa chiamare le cose con il loro nome. «Dal profondo di te stesso nascono i tuoi pensieri con quattro risultati diversi: il bene e il male, la vita e la morte, eppure su tutte queste cose domina la lingua», si legge nel Siracide. Liberare Samira è come tornare a liberare la parola, che poi è l’unica rivoluzione che meriti davvero questo nome. Niamey, 8 ottobre 2023 © riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI