Benedetto XVI, incontrando alla fine di settembre del 2011 i cattolici tedeschi impegnati nella Chiesa e nella società, pronunciò un discorso che, forse troppo in fretta, fu archiviato come una "tirata di orecchie" a organizzazioni più preoccupate dell'efficienza che della sostanza del loro operare. In realtà, sulla linea di quanto affermato due anni prima nella Caritas in veritate, il discorso di Papa Ratzinger affrontava in maniera estremamente concreta la questione dell'identità cristiana, radicata nella parola di Dio, e della necessità di rendere questa immediatamente riconoscibile. Lo "scandalo della fede", disse tra l'altro, è un fatto «che non può essere abolito se non si vuole abolire il cristianesimo», ma che oggi «purtroppo, è stato messo in ombra proprio recentemente dagli altri scandali dolorosi degli annunciatori della fede. Si crea una situazione pericolosa, quando questi scandali prendono il posto dello skandalon primario della Croce e così lo rendono inaccessibile, quando cioè nascondono la vera esigenza cristiana dietro l'inadeguatezza dei suoi messaggeri».
In queste parole c'è molto del magistero di Papa Francesco. E quanto sia cruciale questo passaggio, quanto centrale debba essere la vera testimonianza nella vita di ogni credente l'ha voluto ribadire non per caso domenica scorsa, alla chiusura del Sinodo dei giovani, indicando come per essere davvero fedeli alla missione cui tutti siamo chiamati, è necessario essere pronti a testimoniare con la vita, l'ascolto, la prossimità, e sporcarsi le mani andando a trovare chi cerca senza attendere che sia lui a bussare alla nostra porta. Perché la fede, ha detto, «è questione di incontro, non di teoria». Eppure, ha osservato, «quante volte, invece di questo liberante messaggio di salvezza, abbiamo portato noi stessi, le nostre "ricette", le nostre "etichette" nella Chiesa! Quante volte, anziché fare nostre le parole del Signore, abbiamo spacciato per parola sua le nostre idee! Quante volte la gente sente più il peso delle nostre istituzioni che la presenza amica di Gesù! Allora passiamo per una organizzazione non governativa, per una organizzazione parastatale, non per la comunità dei salvati che vivono la gioia del Signore».
Testimoniare, dunque, secondo quello stile che ha consentito la diffusione della parola di Dio attraverso la storia, sempre attenti a evitare i due rischi costantemente in agguato: quello del "dottrinalismo", di chi fa consistere la fede nella chiarezza delle (proprie) idee, magari da usare per giudicare gli altri mettendosi su in piedistallo; e quello dell'"attivismo", che, appunto, trasforma la Chiesa in una "Ong del fare", e la fede in moralismo che si riduce alle sole attività sociali. Al contrario, proprio perché quando si parla di fede si parla di "incontro" non di "teoria", i «figli del Padre celeste – ha sottolineato Bergoglio – prestano ascolto ai fratelli: non alle chiacchiere inutili, ma ai bisogni del prossimo».
Il che vuol dire, dice il Papa, «ascoltare con amore, con pazienza, come fa Dio con noi, con le nostre preghiere spesso ripetitive. Vorrei dire ai giovani, a nome di tutti noi adulti: scusateci se spesso non vi abbiamo dato ascolto; se, anziché aprirvi il cuore, vi abbiamo riempito le orecchie. Come Chiesa di Gesù desideriamo metterci in vostro ascolto con amore, certi di due cose: che la vostra vita è preziosa per Dio, perché Dio è giovane e ama i giovani; e che la vostra vita è preziosa anche per noi, anzi necessaria per andare avanti».
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