Dovunque egli arrivi, si mette a sedere e tira fuori dalla valigia la sua superiorità.
Sfoglio un noto settimanale tedesco e gli occhi mi cadono su una citazione del famoso scrittore bulgaro-tedesco-ebreo Elias Canetti (1905-1994), Nobel nel 1981. Di primo acchito non la capisco; poi leggendola adagio, mi fa sorridere e mi spinge a tradurla per proporla qui. Abbiamo incontrato tutti nella vita persone di questo genere, tronfie e pompose, quelle che per dire anche una banalità devono imbandire tovaglie e tovaglioli, persone convinte che il mondo non sa cosa si perde non ascoltando le loro teorie e non apprezzando le loro opere. Guai a contrastarle, a opporre sia pur timide obiezioni, a non ammirare le loro capacità. A loro fa ombra anche il più piccolo cespuglio: «Un vizir fa sempre ombra ai sultani», diceva un personaggio del dramma Bajazet del grande Racine.
La superbia non è mai sazia. Quelli della mia età ricordano le battute di un autore satirico che curava anche alcuni programmi televisivi, Marcello Marchesi. Ebbene, una di esse suonava così: «La superbia partì a cavallo e tornò in yacht». Detto questo e altro sull'arroganza e sulla vanagloria, ben attestate ai nostri giorni come è sempre stato, non dimentichiamo che, se per un momento uscissimo da noi stessi e ci guardassimo dall'esterno, ci scopriremmo ugualmente dotati della stessa valigia, pronti a trascinarla - più o meno pesante - per tirar fuori
la nostra indubbia superiorità. Non ci farà male, allora, meditare sulle parole di Paolo: «Ognuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso» (Filippesi 2, 3).
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