Avete mai visto una tribuna dal di dietro? Tutti dovrebbero familiarizzarsi con la vista di una tribuna dal di dietro prima di radunarsi davanti ad essa. Chi ha visto una tribuna da dietro è segnato, immunizzato contro qualsiasi rito magico che in una forma o nell'altra venga celebrato su una tribuna.
Oskar, il protagonista del famoso romanzo Il tamburo di latta (1959) di Gunther Grass, ripercorre nel manicomio in cui è relegato le vicende della sua vita di nano che si è rifiutato di crescere, disgustato dal mondo degli adulti. Una delle sue osservazioni riguarda l'eterno vizio dell'ipocrisia, dell'inganno perpetrato ai danni degli altri. Ed egli lo raffigura in modo ironico attraverso il simbolo della tribuna che, per certi versi, è una variante del famoso apologo del "re nudo". Se, infatti, ci piazziamo davanti a una solenne tribuna, coi suoi velluti, i seggi, gli emblemi, i fiori e gli apparati, è facile lasciarsi irretire anche da chi, afferrato il microfono, comincerà a proclamare le sue verità, a ostentare le sue certezze, a effondere le sue promesse.
Ma se fossimo tentati di girare oltre la tribuna e di esaminarne la parte posteriore, allora ci apparirebbe una ben diversa realtà: tubolari e assi, fili e polvere, e forse l'oratore che, terminato il suo discorso, sghignazza e scherza coi suoi adepti, convinto di avercela fatta anche questa volta. Risalire alla realtà oltre i paludamenti, pensare a ciò che vermicola sotto i sepolcri imbiancati, per usare una celebre immagine di Gesù, andare al di là della retorica per cogliere la sostanza: ecco un esercizio necessario soprattutto ai nostri giorni, contrassegnati dall'apparire, dall'esteriorità, dalla pubblicità. Come diceva un altro scrittore, André Gide, purtroppo «in questo mondo è importante non aver l'aria di ciò che si è»!
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