«Ormai addio serba l'amore del figlio comune» (Eneide, II, 789). Così Creusa parlava al marito Enea mentre egli invano cercava di salvarla dalle fiamme dell'incendio di Troia quando ella, già morta, voleva incoraggiarlo a portare il figlio Ascanio in terra di Hesperia, affinché lui potesse fondare la città di Roma. Ogni volta che prendiamo congedo, scopriamo una terra nuova. In altre parole, diciamo “addio” a questi per dire “salve” a quelli. Nulla ci può soddisfare se non possiamo soddisfare noi stessi. Uno dei miei brani preferiti nelle Sacre Scritture è quello in cui Gesù esorta i suoi discepoli di non preoccuparsi di nulla: «Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai», e «osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano» (Mt 6,26.28). Malgrado le fastidiosissime preoccupazioni che ci affliggono quotidianamente, che sono sempre in aumento, rifugiamoci nelle buone lettere, nella musica, e nelle belle arti tramite le quali l'anima può riposare. Dobbiamo cercare ragioni per vivere e per godere dell'ozio, sebbene ci siano alcuni che cercano solo motivi per arrabbiarsi e per fare male agli altri. Ci sono parecchi che mi hanno chiesto perché mi chiamo “Torquatus”. Anche se la risposta è abbastanza complessa, posso dire che ho scelto questo nome perché mi piace tanto il settimoI canto di Quinto Orazio Flacco del quarto libro: «O Torquato, quando sarai morto e Minosse pronuncerà su di te la solenne sentenza, non ti riporteranno in vita né la tua nobile stirpe, né la tua abilità di oratore, né la tua pietà». Orazio ammonisce il suo amico di non ingannarsi credendo di poter vivere in eterno. Cosi cantiamo nell'inno Gaudeamus: «Post iucundam iuventutem, post molestam senectutem, nos habebit humus» (“Dopo la gioiosa giovinezza, dopo la vecchiaia molesta, ci avrà la terra”). Perciò non lascio la scena se non con gioia, dilettissimi lettori, perché né la nostra stirpe, né la nostra abilità oratoria, né la nostra pietà possono salvarci dalla morte. In questa rubrica ho scritto del mondo, dell'universo e di ciò che si trova in esso. Ho scritto di bene e di male, di odio e di amore, di dolore e letizia. Innanzitutto vi volevo dire questo: vivremo volentieri se moriamo volentieri; ma se non moriremo volentieri, non potremo vivere mai. Mille grazie, carissimi lettori, per aver voluto leggere questa rubrica. E per quanto tenete a me, badate non solo di vivere bene, ma anche di vivere con giudizio, e così potrete morire con gioia.
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